1. Congresso di Vienna, Risorgimento, Unità d’Italia.
Dal Congresso di Vienna il nuovo assetto dell’area italiana.
Dopo la fine dell’Impero napoleonico, la nuova divisione politica dell’Italia fu fissata dal Congresso di Vienna il cui atto finale, sottoscritto il 9 giugno 1815, decretò la grande influenza austriaca sull’area italiana. A nord l’Impero asburgico governava direttamente il nuovo Regno Lombardo-Veneto che comprendeva la Lombardia, i territori di terraferma della scomparsa Serenissima e la città di Venezia. La Toscana fu ricostituita in Granducato sotto la dinastia austriaca dei Lorena e Parma, Piacenza e Guastalla tornarono ad essere un Ducato autonomo sotto la corona di Maria Luigia d’Asburgo-Lorena (1791-1847) arciduchessa d’Austria, già moglie di Napoleone. Alla dinastia austro-estense fu assegnato il Ducato di Modena, Reggio, Mirandola, Massa e Carrara mentre il piccolo Ducato di Lucca venne devoluto a Maria Luisa di Borbone (1782-1824), figlia di Carlo IV di Spagna, alla quale (o ai suoi discendenti) sarebbe spettata anche la sucessione nel Ducato di Parma e Piacenza dopo la morte di Maria Luigia. Al centro della penisola Roma, il Lazio, l’Umbria, le Marche, la Romagna, Bologna e il suo territorio costituivano lo Stato Pontificio mentre la dinastia dei Borbone-Spagna dominava sul Regno delle Due Sicilie, che univa il Mezzogiorno continentale a sud di Roma e la Sicilia. Unico Stato retto da dinastia italiana rimaneva il Regno di Sardegna, con capitale Torino, che includeva tutto il territorio piemontese e savoiardo e i territori che avevano costituito la scomparsa Repubblica di Genova devoluti dal Congresso al Regno di Sardegna. Una mappatura geografica che permane dagli anni della Restaurazione alla realizzazione del Risorgimento nazionale, con la nascita nel 1861 del Regno d’Italia, e nella quale si giocano i fatti che contraddistinguono questo periodo storico. Gli anni del <<Risorgimento>>. Gli anni successivi al Congresso di Vienna sono noti nel dibattito e nella lotta politica, già verso la metà del secolo XIX, con il termine <<Risorgimento>>, il movimento nazionale e liberale sviluppatesi in Italia dal Congresso di Vienna in poi. L’immagine risorgimentale implicava l’idea di una ripresa delle energie vitali della nazione, rivendicando ad essa il diritto ad un’organizzazione indipendente nel contesto delle grandi nazioni europee anche se negli stessi primi anni successivi alla sistemazione delle cose italiane a Vienna è evidente la diversità delle posizioni emerse. Gli anni intorno al 1820 furono un periodo di crisi politica per quasi tutti i paesi europei: il clima di insofferenza e di ribellione all’antico regime venne accentuato oltre che dalle tendenze liberali ormai radicate in una parte della borghesia, anche dalle difficoltà economiche che seguirono la fine delle guerre napoleoniche. Su questi fattori di ordine generale si inserì, specialmente nei paesi mediterranei, l’azione delle società segrete, l’unica possibilità di lotta politica nel regime di assolutismo e di polizia affermatosi con la restaurazione. I movimenti rivoluzionari europei del 1820-1821 furono, infatti, preparati e preceduti da un’intensa attività cospirativa svolta principalmente dalla Carboneria. Dopo la seconda ondata rivoluzionaria nel 1830-1831, le società segrete cominciarono a decadere, pur continuando ad essere attive fino al 1848 ed oltre. Fra le sette più attive in Italia, la Carboneria operò al sud e l’Adelfia al nord. Di entrambe ci sono ignote le origini esatte, in ogni modo sorte come movimenti dissidenti della massoneria ufficiale, volte soprattutto all’esclusione dell’Austria dalla penisola e ad un ordinamento costituzionale per gli Stati italiani, lasciando nel vago eventuali più concrete determinazioni. Nel 1848 il popolo milanese fu poi l’indiscusso e autonomo attore dell’insurrezione che nel corso delle cinque giornate (18-22 marzo) portò alla cacciata dalla Città dell’esercito austriaco comandato dal maresciallo J. Radetzky (1766-1858). Il 18 marzo Milano, sostenuta dalle città vicine, insorse sotto la guida di un consiglio di guerra del quale faceva parte anche Carlo Cattaneo (1801-1869). Da Milano, nel corso delle cinque giornate, membri dell’aristocrazia liberale rivolsero insistenti appelli a Carlo Alberto di Savoia-Carignano (1798-1848) perché intervenisse con il suo esercito, preoccupati per l’indirizzo democratico che il movimento di indipendenza avrebbe assunto se la lotta contro l’Austria si fosse basata esclusivamente sull’iniziativa popolare. Carlo Alberto entrò in Milano soltanto il 26 marzo. Gli accadimenti di quei giorni erano ormai conclusi e s’iniziò da parte sabaudo-piemontese, d’intesa con il notabilato dell’alta aristocrazia e della grande possidenza a riscrivere una nuova interpretazione di fatti che erano sotto gli occhi di tutti. Si ebbe così un clamoroso falso storico delle giornate e dei mesi che intercorsero dalla liberazione di Milano al ritorno degli austriaci il 6 agosto 1848. A tutto ciò reagì Carlo Cattaneo, che da Parigi scrisse di getto L’insurrection de Milan 1848 (Parigi, Amyot, 1848) dove ristabiliva il vero significato delle cinque giornate. Preannunciata dalle insurrezioni di Palermo (gennaio 1848) e di Napoli (febbraio 1848) e dalla rivoluzione di Francia (febbraio 1848) dove era stata proclamata la Repubblica, anche a Vienna la borghesia sostenuta dal popolo e dagli studenti insorse. E con la fuga del Metternich in Inghilterra finiva anche nell’Impero austriaco quel periodo denominato “restaurazione”, iniziato nel 1815 con l’Atto finale del Congresso di Vienna. Si deve anche riconoscere che la grande rottura nei rapporti tra l’Austria e i suoi popoli in Italia è stata rappresentata storicamente anche dai diciotto anni di presenza politico-istituzionale francese (1796-1814) che si collocano a cavallo del XVIII e XIX secolo. Infatti, fu con gli anni Novanta del XVIII secolo, sotto la spinta della Rivoluzione francese, che a Milano arrivò nel 1796 con Napoleone Bonaparte (1769-1821) il riformismo tipico della cultura illuministica dei diversi Stati italiani e quello milanese in primis, iniziò a riconsiderare il suo cosmopolitismo e a misurarsi con la nuova concezione della nazionalità che diventava sempre più elemento cruciale per ogni elaborazione politica e statuale. La veloce unificazione nazionale. L’occasione politico-militare che in breve tempo condusse all’unificazione politica italiana venne con la campagna militare franco-piemontese dell’estate del 1859, combattuta vittoriosamente in Italia da Vittorio Emanuele II con Napoleone III (1818-1873) contro l’Impero austriaco. L’iniziale intesa tra gli alleati prevedeva la formazione di uno Stato unitario nell’area settentrionale e padana dell’Italia sotto la monarchia sabauda, uno Stato nell’Italia centrale senza la soppressione dello Stato Pontificio che, comunque avrebbe dovuto avere un ridimensionamento territoriale. Il Regno meridionale, sottratto ai Borboni, sarebbe dovuto essere assegnato alla discendenza di Murat. Ma questa posizione venne presto travolta dal crollo, parallelo alla guerre, dell’organizzazione dell’antico regime nei Ducati di Parma e Piacenza, di Modena, della Toscana e in una parte dello Stato Pontificio sotto la pressione del popolo delle città che si ribellava al potere tradizionale. L’armistizio di Villafranca (11 luglio 1859) aprì una crisi politica internazionale all’interno della stessa alleanza franco-piemontese. Cavour diede le dimissioni perché non accettò l’interruzione da parte francese della guerra, con la sola acquisizione della Lombardia (senza le fortezze di Mantova e Peschiera), e Napoleone III, negli anni Trenta attivo cospiratore contro la Restaurazione e particolarmente legato all’Italia, di fronte al divampare ovunque della tenace opposizione creata dalle rivoluzioni patriottiche aveva subito una grande e frenante pressione dell’opinione pubblica conservatrice francese. Ma ormai il ripristino dell’antica divisione nell’Italia centrale era impossibile perché i governi provvisori di Toscana, Modena, Parma e Piacenza, Bologna e Legazioni pontificie avevano organizzato un loro coordinato potere di resistenza e anche un esercito comune comandato dal generale emiliano Manfredo Fanti (1806-1865) e da Giuseppe Garibaldi come suo vice. Il ritorno al potere di Cavour nel gennaio 1860 consentì di risolvere questo intricato nodo con l’annessione al Piemonte, previ plebisciti, oltre che della Lombardia, anche della Toscana, dell’Emilia pontificia e dei Ducati padani e la cessione, sempre preceduta da plebiscito, alla Francia di Nizza e Savoia. E mentre Vittorio Emanuele II inaugurava il Parlamento dell’Italia settentrionale e centrale rendendo omaggio ai rappresentanti delle nuove terre unite al Piemonte, accadeva anche la lacerante rottura con Pio IX che, il 2 aprile 1860, aveva pronunciato contro gli <<invasori >> dei territori pontifici. Cessato, tuttavia, questo complesso lavorio diplomatico e militare in una situazione che appariva in via di stabilizzazione, il fatto nuovo e imprevisto fu rappresentato dalla spedizione militare di Giuseppe Garibaldi nel sud: 1136 giovani, per gran parte dell’Italia settentrionale e con un gruppo di volontari ungheresi profughi dal loro paese, sbarcarono l’11 maggio 1860 nel porto di Marsala in Sicilia, provenienti da Genova e travolsero con impeto la resistenza dell’esercito borbonico. Ai garibaldini si unirono patrioti e insorti siciliani e meridionali mentre dal nord avanzò all’attacco del Regno di Napoli l’esercito piemontese guidato dallo stesso re costringendo nel febbraio 1861 il giovane sovrano di Napoli, Francesco II (1836-1894) all’esilio a Roma. Ne emerge un nuovo assetto italiano, risultato di azione diplomatica condotta dal Piemonte. La guerra antiaustriaca aveva condotto al processo di unificazione dell’Italia in un solo Stato, con le eccezioni di Venezia e la sua regione, di Roma e del Lazio e delle province di confine di Trento e Trieste. Un fortunato biennio che condusse il 17 marzo 1861 alla proclamazione del Regno d’Italia, sotto la monarchia costituzionale dei Savoia, con un regime rappresentativo-liberale e con una forte connotazione laica, che più volte fu anche anticlericale. Iniziava così il tormentato processo di integrazione sociale, economica e culturale mai conclusasi, seppure con connotati diversi nel tempo.
Giulia Caminada Lattuada (ARTICOLO PUBBLICATO NEL 2003)