Sono posseduto da una passione inesauribile che finora non ho potuto né voluto frenare. Non riesco a saziarmi di libri. (F. Petrarca) Leggo per trovare delle perle di saggezza. Lettura, vizio precoce: da ragazzo raccattavo i giornali unti di pesce che trovavo per strada, li facevo asciugare, li leggevo di notte. Un buon libro lascia al lettore l’impressione di leggere qualcosa della propria esperienza personale. Quando la letteratura è al suo apice ci sembra che d’improvviso ricordiamo qualcosa d’importante che sapevamo ma abbiamo scordato. […] insospettisce la polizia: “Attenzione, con la lettura non si sa dove si va a finire”. Sono libri, – disse lui, – leggici dentro fin che puoi. Sarai sempre un tapino se non leggi nei libri. La lettura è solitudine. La lettura fa l’uomo completo. I testi prodotti dagli scrittori li possono leggere tutti e tutti sono liberi di giudicarli. … non avendo mai io avuto un dolore che un’ora di lettura non abbia dissipato. Non leggete, come fanno i bambini, per divertirvi, o, come fanno gli ambiziosi per istruirvi. No, leggete per vivere. La lettura di tutti i buoni libri è come una conversazione con gli uomini migliori dei secoli andati. Ma dove troverò mai il tempo per non leggere tante cose? La lettura è a volte un modo ingegnoso per evitare di pensare. Non leggete il tempo, leggete l’eternità. La gente, drogata dal telecomando, legge molto meno, mentre leggere è vivere, e chi non legge più è colto da asfissia morale. La lettura è il rapporto fecondo di una comunicazione con il mondo in seno alla solitudine. Niente come la lettura di un libro, nell’apparente quiete e nel silenzio può dischiudere in modo imprevedibile la vista di nuovi orizzonti di vita. Una cattiva critica è meglio che niente… non ti pare? Alcuni libri devono essere assaggiati, altri trangugiati, e alcuni, rari, masticati e digeriti. Non conosco effetto più spoetizzante dell’invito a perlustrare le molle e i congegni meccanici su cui si basa qualunque forma artistica. Tutte le nostre attività, artistiche o meno, si svolgono interamente in superficie; è appunto a livello di superficie che ne percepiamo la bellezza, la rilevanza, la ricchezza di significati; e spiare più sotto significa inevitabilmente restare sconcertati e delusi dalla vuotaggine che vi si scorge, dalla rozzezza delle funi e delle pulegge. Ho pure notato che dopo essermi concentrato molto in una lettura rischio degli incidenti. Inciampo per le scale, mi taglio un dito mentre affetto il pane, attraverso la strada senza badare al traffico, incespico nel bordo del marciapiede. L’utilità della lettura, esaltata dalla scuola e dalla società, voluta e incentivata dalla politica e dalla pubblicità, mostrerebbe in questo caso – se dovessi rompermi una gamba – i propri limiti. Si capirebbe meglio un testo se si sapesse quale ossessione vi parla. Il verbo leggere non sopporta l’imperativo. […] noi rimaniamo sempre figli di Agostino, che è stato il primo a insegnarci che i libri, da soli, nutrono il pensiero, la memoria, e la loro fitta rete di interazioni nella vita della nostra mente. La sola lettura non basterà a salvarci o a renderci saggi, ma senza di essa veniamo a cadere in quella forma di vita-nella-morte che è l’odierno abbattimento del livello culturale, in cui l’America – come in tutte le altre cose – è al primo posto. In ogni opera di genio riconosciamo i nostri propri pensieri rigettati; ritornano a noi ammantati di una maestà che altri hanno saputo dar loro. Per scegliere che cosa continuare a leggere e insegnare, mi attengo soltanto a tre criteri: lo splendore estetico, il vigore intellettuale e la saggezza. Le pressioni della società e le mode giornalistiche possono anche oscurare, per un certo tempo, questi criteri; ma appunto, si tratta sempre di periodi limitati, e alla fine le opere che non riescono a trascendere il loro particolare contesto storico sono destinate a non sopravvivere. La mente finisce sempre per tornare al suo bisogno di bellezza, di verità, di comprensione. Tutti sappiamo che probabilmente le circostanze in cui si legge sono importanti quanto il libro stesso. Io leggo per un sacco di motivi. Generalmente tendo a frequentare lettori e ho paura che, se smettessi di leggere, loro non vorrebbero più frequentare me (sono gente interessante e sanno un sacco di cose interessanti, ne sentirei la mancanza). Sono anche uno scrittore e ho bisogno di leggere per ispirami e per istruirmi e perché voglio migliorare, e solo i libri possono insegnarmi come. A volte, certo, leggo per scoprire delle cose: a mano a mano che invecchio, sento sempre di più il peso della mia ignoranza. Voglio sapere com’è questa o quella persona, vivere in un posto o in un altro. Amo quei dettagli sui meccanismi del cuore e della mente umana che solo la narrativa ci può illustrare, i film non si avvicinano abbastanza. La lettura è un’arena ove lo scrittore e il lettore insieme mettono in scena un dramma di fantasia. Si scrive soltanto una metà del libro, dell’altra metà si deve occupare il lettore. “Una biblioteca”, dice Ralph Waldo Emerson, “è un harem”. E se fosse una polveriera? Sul totale della popolazione, i lettori deboli rappresentano il 24%, i medi il 4% e i forti l’1%. Il paradosso italiano è che il comparto editoriale (o almeno i grandi gruppi che coprono il 75% del mercato) campa più che bene su questi medi e forti: pochi ma buoni, anzi ottimi perché onnivori. Ma a questo punto il problema non riguarda tanto l’editoria libraria, che rappresenta pur sempre il sesto mercato mondiale del settore. Riguarda l’intero Paese, che vale per quello che sa: gli indici di lettura e quelli di sviluppo economico procedono di pari passo, come nel nord Europa. Non si legge per la scuola, per il popolo, per l’ingegno ma per l’anima e la vita. Trarrai grande vantaggio dalla lettura, a condizione che tu metta in pratica quanto vai leggendo. Nessun libro è così insignificante da non poter condurre a nessuna utilità. [Gli analfabeti culturali] sono quei gruppi percentualmente consistenti di dirigenti, di benestanti, di laureati che né comprano né leggono mai (dicesi mai) un libro o un giornale. Medici, avvocati, direttori generali, dirigenti di imprese e – sì – professori. E (notare) maschi assai più che femmine. Se la passa bene perché non soffre per la mancanza di memoria da cui è affetto; il fatto di non essere caparbio gli rende la vita più facile; il fatto di non essere capace di concentrarsi è da lui apprezzato; il fatto di non sapere e capire che cosa gli succede gli sembra un vantaggio. Egli è mobile, è capace di adeguarsi. Dispone di una considerevole capacità di imporsi. Quindi non c’è motivo di preoccuparsi per lui. Contribuisce al suo benessere la circostanza che l’analfabeta di ritorno non si rende assolutamente conto di essere un analfabeta di ritorno. si considera ben informato, è in grado di decifrare istruzioni per l’uso, pictogrammi ed assegni, e si muove in un ambiente ermeticamente chiuso contro ogni attacco alla sua coscienza. È impensabile che egli possa fallire a causa del mondo che lo circonda. Il quale mondo lo ha prodotto e plasmato per garantirsi la propria sopravvivenza indisturbata. Leggere, potere leggere, avere il gusto di leggere, è un privilegio. È un privilegio della nostra intelligenza, che trova nei libri l’alimento primo dell’informazione e gli stimoli al confronto, alla critica, allo sviluppo. È un privilegio della fantasia, che attraverso le parole scritte nei secoli si apre il varco verso l’esplorazione fantastica dell’immaginario, del mareggiare delle altre possibilità tra le quali si è costruita l’esperienza reale degli esseri umani. È un privilegio della nostra vita pratica, perfino economica: chi ha il gusto di leggere non è mai solo e, con spesa assai modesta, può intessere i più affascinanti colloqui, assistere agli spettacoli più fastosi. Non c’è cocktail party, non c’è terrazza, non happening, non premiere che offra quello che chi ha gusto di lettura può trovare solo allungando la mano verso un qualsiasi modesto palchetto di biblioteca. Non c’è Palazzo che valga quello di Armida, o quell’ hegeliano castello del sapere dalle cento e cento porte, dove suonano solo le quiete voci della conoscenza e della fantasia. E mentre altre esperienze si consumano nel ripetersi, nel leggere, invece, come ha detto una volta un poeta, dieci e dieci volte possiamo tornare sullo stesso testo, ogni volta riscoprendone un nuovo senso, un più sottile piacere. Leggere significa identificarsi con l’amante e con il mistico. Leggere significa essere un po’ clandestini, abolire il mondo esterno, spostarsi verso una finzione, aprire le parentesi dell’immaginario. Leggere significa spesso ammalarsi (nel senso proprio e in quello figurato). Leggere significa stabilire una relazione attraverso il tatto, la vista, l’udito (le stesse parole risuonano). Si legge con tutto il corpo… il piacere viene dalla gioia dell’attesa (attesa che spesso si riduce alla suspence). C’è narrazione, vita, durata. Vi è la certezza di conoscere il seguito, ma nello stesso tempo assenza di seguito. Il lettore allora fugge, ma è trascinato avanti. Egli è in balia delle pagine. La sua attesa sarà premiata. La gioia dipende dal numero di pagine ancora da sfogliare. Noi non possiamo conoscere chi vorremmo. Possiamo per una fortuna insperata, avere una visione momentanea di un grande poeta o udire il suono della sua voce; o rivolgere qualche domanda a uno scienziato, il quale ci risponderà affabilmente. Possiamo usurpare dieci minuti di colloquio nel gabinetto d’un ministro; o godere una volta nella vita del privilegio di attirare lo sguardo di una regina. Eppure, questi fortunati casi fuggitivi noi li desideriamo e spendiamo i nostri anni, le nostre passioni e le nostre capacità nella ricerca di qualcosa di meno importante, mentre, durante questo tempo, c’è una società che ci è costantemente aperta, ci sono persone che, quale si sia la nostra condizione ed occupazione, potrebbero conversare con noi tanto a lungo quanto vorremmo. E tale società, così numerosa e amabile, e che possiamo far aspettare intorno a noi l’intera giornata, – re e uomini di stato che attendono paziente,mente non per concedere un’udienza, ma per ottenerla, – noi non la cerchiamo mai in quelle anticamere ammobiliate con tanta semplicità che sono gli scaffali delle nostre biblioteche, non ascoltiamo mai una parola di quel che essa ci potrebbe dire. Non esistono forse giorni della nostra infanzia che abbiam vissuti tanto pienamente come quelli che abbiam creduto di aver trascorsi senza vivere, in compagnia d’un libro prediletto. Tutto quel che (a quanto ci sembrava) li riempiva per gli altri, e che noi scartavamo come ostacoli volgari a un piacere divino, il gioco per il quale un amico veniva a cercarci nel punto più interessante; l’ape o il raggio di sole che ci davan fastidio, costringendoci ad alzar gli occhi dalla pagina o a cambiar di posto; le provviste che ci erano state date per l’ora di merenda e che lasciavamo accanto a noi sul sedile, senza toccarle, mentre, sopra il nostro capo, il sole diminuiva di forza nel cielo azzurro; il pranzo che ci aveva obbligati a rientrare e durante il quale pensavamo solo a salire subito dopo, in camera, a terminare il capitolo interrotto, tutto questo, di cui la lettura avrebbe dovuto farci sentire soltanto l’importunità, ne imprimeva invece in noi un ricordo talmente dolce (e, pel nostro giudizio attuale, più prezioso di quel che leggevamo allora con amore) che, ancor oggi, se ci capita di sfogliare quei libri di un tempo, li guardiamo come se fossero i soli calendari da noi conservati dei giorni che furono, e con la speranza di veder riflesse nelle loro pagine le dimore e gli stagni che più non esistono. Da parecchio tempo ormai a poterlo salvare non erano più i libri, ma soltanto delle frasi, singole frasi di Novalis ad esempio, di Montaigne, di Spinoza, di Pascal, alle quali di tanto in tanto doveva aggrapparsi per non soccombere. Ma loro non lo sanno, non possono saperlo. In ogni libro, anche nel più insignificante e polveroso dei miei libri, da anni accantonati come in castigo nel garage, c’è un pezzo di me, un barlume della mia coscienza, un ingrediente di quella che si chiama pomposamente la “personalità”. Chi non legge smette anche di studiare. In Italia solo un venti per cento di quadri segue corsi di aggiornamento: quattro volte meno della media europea. Una classe dirigente male alfabetizzata, quindi non aggiornata, è la rovina di un paese, molto più di un crollo della Borsa. Per quanto la buona lettura possa essere una fonte immediata di piacere, non è del tutto fine a se stessa. Dobbiamo fare qualche cosa di più oltre il pensare e l’imparare per condurre una vita degna dell’uomo. Dobbiamo agire. Lo studio è stato per me il rimedio sovrano contro i guai della vita, non avendo io mai avuto un dolore che un’ora di lettura non abbia dissipato. Dobbiamo difendere la lettura come esperienza che non coltiva l’ideale della rapidità, ma della ricchezza, della profondità, della durata. Una lettura concentrata, amante degli indugi, dei ritorni su di sé, aperta più che alle scorciatoie, ai cambiamenti di andatura che assecondano i ritmi alterni della mente e vi imprimono le emozioni e le acquisizioni. Leggere per me era evasione e conforto, era la mia consolazione, il mio stimolante preferito: leggere per il puro gusto della lettura, per il meraviglioso silenzio che ti circonda quando ascolti le parole di un autore riverberate dentro la tua testa. Di solito leggo parecchi libri per volta – libri vecchi, libri nuovi, narrativa, saggistica, poesia, di tutto – e quando sul comodino la pila di una dozzina di volumi si è ridotta a due o tre, il che avviene in genere in capo a una settimana, ne metto insieme un’altra. Ci sono alcune sottospecie di narrativa che non tocco mai: i gialli, per esempio, che mi ripugnano, e i romanzi storici. Detesto anche i cosiddetti romanzi “forti”, pieni di trite oscenità e di dialoghi torrentizi. […] stimolare e sfidare il lettore alla riflessione. Ecco, questo, secondo me, è lo scopo principale della lettura. Siamo in molti a non poter finire la giornata senza un’ultima lettura a letto. Di solito si tratta della novità promettente o di una rilettura di pura golosità, non di un’opera utile al lavoro che si ha in corso: che so, mentre scrivevo i miei due romanzi “storici”, non ho mai chiuso gli occhi su un testo seicentesco o su un saggio critico. La conclusione di un giorno deve essere un po’ vezzeggiata da chi fatica a liberarsi da un pensiero ossessivo e dalle ansie e inquietudini diurne. Di qui la scelta tutta libera e antieconomica delle letture notturne. Quello che voglio dire è che nelle nostre più fedeli letture, da studenti, cercavamo la pagina che ci avrebbe guidato, cercavamo una guida nell’incertezza. La trovavamo in Lawrence, o in Eliot, il primo Eliot; un tipo diverso di guida, forse, ma pur sempre una guida su come vivere la nostra vita. Le altre nostre letture, in confronto erano superficiali, veloci, fatte per passare gli esami. Non arrivi mai a leggere tutto quello che vorresti. |