L’attuale generazioni di bambini e adolescenti si trova a convivere con un sistema complesso di comunicazione che ha come principale medium lo schermo. L’apparecchio televisivo è divenuto ormai quasi un membro della famiglia con cui bisogna fare i conti: ci obbliga ai suoi orari, ci fa discutere con i familiari sul programma da seguire, spesso regola la nostra giornata. La TV con i suoi numerosi canali propone ogni giorno ogni sorta di intrattenimento, inoltre il suo schermo può essere utilizzato anche per visionare una videocassetta, usare il video-games oppure il computer, se questo non compare già con uno schermo proprio nella nostra casa, sotto forma anche di tablet o di smartphone. Di fronte a una tale irruzione del linguaggio (audio-)visivo e quindi all’affermazione della ‘civiltà dell’immagine’, la ‘civiltà della parola’ sembra entrata in crisi. Prevalere un tipo di comunicazione ‘facile’ rispetto a quella ‘difficile’ che richiedeva il dominio delle tecniche della scrittura e la riflessione silenziosa sul messaggio da decodificare. Perciò gli audiovisivi sono stati mezzi privilegiati per le grandi masse, per il pubblico non specializzato o scarsamente culturalizzato, per i bambini e per gli anziani ristretti negli spazi casalinghi. Se i ragazzi non leggono – si dice – la colpa è degli audiovisivi, in particolare della TV. Essa infatti permette un’adesione distratta e superficiale, mentre la lettura vuole applicazione. E si può ben vedere la reazione dei ragazzi posti di fronte all’ambivalenza di due modi di esprimersi: quello rapido, moderno, conciso dei documentari, delle inchieste, degli sceneggiati televisivi e il linguaggio spesso lento, ridondante, sorpassato di moltissimi libri per ragazzi; inoltre il “demone della TV” viene accusato di mediocrità che deriverebbe inevitabilmente dall’esigenza di servire e accontentare un pubblico quanto mai vasto, eterogeneo e scarsamente preparato, di tendenza a imporre più che a proporre, di livellamento dei valori e di superficialità e conformismo.
Dall’altra parte c’è chi difende la televisione e le riconosce alcuni meriti quali quello di giungere a un pubblico vasto, di creare nuovi interessi nel pubblico e di utilizzare un linguaggio che tutti possono comprendere. Anche in relazione al rapporto che esiste tra TV e lettura c’è chi sostiene che anche in passato quando non c’era la televisione che poteva distrarre dalla lettura, i ragazzi che amavano leggere erano ben pochi. Chi afferma queste tesi arriva anche a sostenere che la TV può persino avvicinare alla lettura risvegliando interessi culturali ed operativi i quali debbono poi essere alimentati da letture successive, suscita curiosità, favorisce il livello culturale in zone depresse e persino conduce direttamente al libro. Non è raro il successo di alcuni libri venduti durante e anche dopo la trasmissione in televisione della loro storia. In tempi a noi più recenti la lettura può essere sostenuta anche dai social network. Si pensi all’esempio di Twitteratura che ha portato alla ristampa di alcune opere letterarie. Questo sta un po’ a dimostrare che il confronto-scontro parola e immagine non vede oggi né vedrà mai vincitori e vinti. Il linguaggio delle immagini non può sostituire il linguaggio delle parole. È inutile gioco affermare o ritenere che soltanto il libro o soltanto la TV, o i singoli mass-media, esprimano da soli il sapere totale, completo. A ciascun linguaggio compete un ruolo specifico all’interno di una più ampia dinamica educativa aperta e liberatrice, indispensabile perché ciascun ragazzo trovi l’opportunità per ‘centrare’ il suo processo di maturazione. L’esempio di #Gigiai, la riscrittura delle lettere indirizzate al parroco di Montemezzo dalle trincee e dai campi di prigionia della Grande Guerra, un progetto basato sul Metodo Twitteratura ( che coinvolge dieci scuole, undici classi, quattordici insegnanti della provincia di Como) ci ha fatto sperimentare sul campo che la lettura non va vista in netta contrapposizione con i mass-media, ma come un medium fra i media e che i giovani possono usufruire di tutti i mezzi di comunicazione a loro disposizione, purché vengano educati a farlo in modo critico e consapevole. Purtroppo il sistema scolastico non è stato in grado sino ad ora di accogliere l’era del veloce e dell’immediato, l’era di internet e del digitale, all’interno della didattica quotidiana. Il problema sono sempre i mezzi e la formazione dei docenti.
Ma con Twitter siamo riusciti ad aggirare l’ostacolo e a centrare il punto, attirando l’attenzione dei ragazzi, attraverso i loro mezzi, su tematiche che improvvisamente si scoprono interessanti ed attuali. Con Twitter e #Gigiai la storia e la letteratura sono diventate un gioco, una gara a chi legge di più. Una raccolta di lettere in sessanta giorni, suddivise per autore, e la loro lettura e riscrittura attraverso gli #hashtag, tramite i 140 caratteri di uno dei social network più utilizzati al mondo. Il gioco regge, motiva, appassiona e fa leggere. Il futuro del libro e la sua riaffermazione dipendono solo dal libro stesso, da come è e da come viene usato; infatti, se il suo potenziale attrattivo, la sua capacità motivazionale verranno sostenute dalle doti intrinseche, oltreché‚ da un buon avviamento alla lettura intelligente fin dall’età infantile e da una politica scolastica e culturale adeguata, il libro non chiederà altro: da secoli esso ha i mezzi per farsi desiderare. Giulia Caminada