Cartoline dall’inferno. Che cosa sono?

“Ieri sera ho ricevuto la cartolina postale scritta da Tonio e mi fa meraviglia sentire come di tante cartoline e lettere che ho spedito ne abbiano ricevuto solo una o due. Ciò dipenderà però dall’enorme quantità di lettere e carte ammassate negli uffici postali e anche per le soste che faranno negli uffici della censura”

Lettera del soldato Efisio, in I. Loi Corvetto, Dai bressaglieri alla fantaria. Lettere dei soldati sardi nella Grande Guerra, Glisso edizioni, Nuoro 1999.

“In verità, o signori, la posta è il più gran dono che la patria possa fare ai combattenti: perché in quel fascio di lettere che giunge ogni giorno fino alle trincee più avanzate, la patria appare ai soldati non più come una idealità impersonale ed astratta, ma come una lontana moltitudine di anime care e di noti volti , in mezzo alla quale ciascuno riconosce un bene che è solamente suio, uno sguardo che soltanto per lui riluce, una voce che per lui solo canta”

P. Calamandrei, Zona di guerra. Lettere, scritti e discorsi 1915 – 1924, Laterza, Roma-Bari 2007.

ferribig

Nel corso della prima guerra mondiale, milioni di uomini e di donne furono spinti a prendere la penna in mano con una frequenza e un’intensità che non aveva precedenti.

I soldati al fronte, pur scarsamente alfabetizzati, cercarono di scrivere a casa con frequenza quasi giornaliera per testimoniare la loro esistenza in vita e riallacciare i contatti mentali con il contesto d’origine. Le famiglie, le donne rimaste a casa dovettero a loro volta trasmettere incoraggiamenti, rassicurazioni e notizie sull’andamento delle cose domestiche.

Così, nei tre anni e mezzo di guerra, secondo calcoli attendibili furono movimentate in Italia quasi 4 miliardi di lettere e di cartoline, di cui oltre due miliardi furono quelle indirizzate dal fronte al paese, circa un miliardo e mezzo quelle in senso inverso e le altre da una parte all’altra del fonte.

Nel superamento dell’oralità e nella pratica della scrittura, nell’uso di quella lingua che gli studiosi hanno chiamato “italiano popolare”, nella produzione copiosa di corrispondenza (ma anche di scrittura diaristica e memorialistica consegnata a taccuini e quaderni di guerra e di prigionia), insomma nei fiumi di parole scritte che transitarono da una parte all’altra del fronte e del paese o rimasero chiuse negli zaini e nei cassetti, era come se milioni di uomini uscissero dall’anonimato e prendessero la parola in un crescendo senza precedenti.

Accanto all’emigrazione, fu la guerra a produrre la prima autobiografia popolare collettiva scritta del paese.

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