“Ogni decesso era segnalato dal suono della campana”. Intervista immaginaria a Ettorina di Montemezzo

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ETTORINA, nata nel 1916 e MARTA nel 1911 sono sorelle, i loro soprannomi sono Muleta o Tumas. Ettorina ci racconta quanto ricorda della partenza per il fronte di alcuni compaesani di Montemezzo.

Ettorina, quando si seppe che iniziava la guerra?

Si seppe che iniziava la guerra da un decreto di Vittorio Emanuele III che diceva all’ incirca così: “Italiani, la guerra è incominciata.  Seguendo il mio avo faccio la guerra contro l’Austria, il mio eterno nemico”. Questo decreto, stampato su manifesti, venne affisso nei paesi.

Chi fu il primo ad essere chiamato del paese di Montemezzo?

Il primo ad essere chiamato alle armi, era il 1915, fu Domico Fontana, classe 1887. Il secondo fu Martino Caraccio, mandato a Milano presso l’ospedale Fatebenefratelli come infermiere. A poco a poco seguirono tutti gli altri. Nel 1917 il generale Cadorna chiamò anche quelli nati nel 1899. Nacque così un detto popolare:

Ul  general Cadorna

al mangia, al beef, al dorma.

Pensieri    non ghe n’ha.

Al ga scrif a la regina

che per ul 99 ga vo la bauscina”.

Com’era vissuta la partenza dei compaesani per la guerra?

 

La partenza dei soldati era vissuta dai compaesani nel silenzio, per rispetto verso i familiari.

E i morti?

La guerra causò otto morti. Camillo Badel morì in prigione.  Raccontano che aveva l’erba in bocca perchè non aveva altro per nutrirsi. Pierino Badel fu schiacciato dal treno. Domenico Badel e Maurilio Triacca morirono per la febbre “spagnola”. Bartolomeo Badel, chiamato Pin Pin, morì all’ospedale di Torino. Giovanni Tremari morì quasi subito all’inizio della guerra. Domenico Carati, andato in guerra dopo un mese che era sposato, morì in prigione. Bartolomeo Caraccio morì anche lui. In base vi fu un forte calo demografico,non solo per la guerra ma anche per la conseguenza della “spagnola”. Tutti avevano paura di essere contagiati. Ogni decesso era segnalato dal suono delle campane.

Come trascorreva la vita a Montemezzo dopo la partenza per il fronte di alcuni compaesani?

A Montemezzo rimasero solo donne, bambini e anziani. Le donne si trovarono non solo ad accudire la casa, a crescere i figli, ma anche a lavorare nei campi e a badare al bestiame.

E don Silvestri? Che ruolo ha avuto nella vita del paese?

In aiuto alle necessità del paese venne il parroco don Silvestri, nativo di Livigno, giunto a Montemezzo all’età di 20/21′ anni. Istituì l’Asilo infantile per aiutare le mamme nel crescere dei figli. Radunava in casa parrocchiale alcune donne e ragazze per confezionare calzettone (struai) che venivano spediti ai soldati al fronte ma prima li mandavano a Chiavenna dove venivano trattati in modo da non far passare l’acqua e il freddo. Don Silvestri si occupò anche della scuola. Aveva fatto costruire una sede nuova dove ogni anno entravano otto o dieci bambini. Nel 1925 ne entrarono venticinque. Durante l’inverno, dato che il comune non aveva soldi per il riscaldamento ogni bambino doveva portare in classe un pezzo di legno per alimentare la stufa di mattoni rossi.

(Adattamento da Come le vacche sull’Alpe di Gigiai. Lettere al parroco di Montemezzo dalle trincee della Grande Guerra, Istituto di storia Contemporanea, Como 1997)

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