Specialmente in gennaio. Tradizioni popolari di casa nostra

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I fuochi di Sant’Antonio in Valassina

Sono antichissimi culti agrari quelli che vanno in scena ogni anno il 17 gennaio, importante data del calendario contadino, a cavallo tra l’inverno e la primavera, coincidente con la festa di S.Antonio abate. Non era cosa inusuale tra il 16 e il 17 gennaio, o il 17 gennaio, accendere i fuochi rituali per rendere omaggio e festeggiare il santo, Sant’Antoni del purcell in lingua locale.  Uno degli avvenimenti più suggestivi del patrimonio culturale della Valle. La leggenda vuole che fu proprio Sant’Antonio Abate, grazie alla sua astuzia e all’aiuto del maialino che spesso lo accompagna nelle raffigurazioni – e che talvolta assomiglia tanto a un cinghialetto – che infatti, riuscì a scendere agli inferi e a rubare il fuoco. Fuoco che appunto nascose nel cuore del suo bastone cavo imprigionandone le scintille e regalandole così all’umanità. È per ricordare quell’evento che la sera del 16 gennaio si accendono i fuochi di Sant’Antonio. Fuochi e falò realizzati con cataste di legna e frasche di cespugli, tronchi di alberi che i fulmini e lo scorrere del tempo hanno reso cavi. A Barni, Bellagio e Erba è una festa ancora molto sentita. Con queste pagine vogliamo raccogliere ricordi e testimonianze inerenti i culti e le tradizioni del mese di gennaio, aprendo il nostro blog al contributo di chiunque volesse parlare con noi di lingua, cultura e tradizioni locali. Per contattarci:  www.www.blogscuoleasso.it/bloggiornalismo

prof.ssa Giulia Caminada

 

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Il Ginee di Valbrona

Il Gineè è una tipica tradizione di Valbrona. Si svolge la sera del 31 Gennaio; la gente si raduna nella piazza e  si inoltra nelle vie della frazione di Maisano brandendo padelle, coperchi e tutto ciò che fà rumore e gridando “L’è mort Ginee! L’è mort in pè!”, come invito alla gente ad unirsi al corteo capeggiato da delle persone che portano una barella in legno sul quale c’è un fantoccio in paglia, vestito di stracci il quale rappresenta il mese di Gennaio che giunge al termine. Il corteo prosegue fino all’Area ricreativa dove lo attende una catasta di legna sulla quale poi verrà deposto il Ginèè e a cui verrà dato fuoco. Ad accompagnare il falò un banchetto dove vengono serviti pasticcini, torte e biscotti prodotti dalle mamme del paese e del tipico Vin Brulè, che ristoreranno chi si fermerà a osservare il falò, a fare quattro chiacchiere con gli amici o chi resterà ad ascoltare le poesie scritte da alcuni abitanti del Paese. Questa festa ha origini molto antiche, ma è stata riscoperta solo negli ultimi tempi. La tradizione sta a indicare la fine del mese di gennaio.

Carlo Acquistapace, Gloria Locatelli

 

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La valigia, la corriera e il ginée di Barni 

Il ginée era una tradizione della Vallassina,un rito che si faceva il 31 gennaio, mentre in Brianza si usava fare la Giubiana l’ultimo giovedì di gennaio. In quasi tutti i paesi consisteva in un manichino fatto di stracci e imbottito di foglie che poi veniva fatto bruciare. A Barni gli anziani ricordano di averlo fatto fino agli anni ‘50 del Novecento, quando già arrivavano le prime corriere. I ragazzi mettevano una vecchia  valigia alla fermata del pullman, cosicché  quando la corriera arrivava, l’autista si fermava e suonava per chiamare il passeggero proprietario della valigia. ma il proprietario era il ginée che se ne doveva andare via portando con se il freddo e il gelo. Cosi i ragazzi nascosti si facevano una bella risata augurandosi che il rigido inverno se ne fosse andato. Il mondo contadino era così felice di lasciarsi alle spalle l’inverno che a Barni era in uso montare la panna lasciata al freddo nella neve in un secchiello si alluminio con un frustino fatto con rametti di betulla.

Piercarlo Lattuada, www.www.blogscuoleasso.it/bloggiornalismo

 

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Il murginee

nel paese di Valbrona c’è la tradizione che alla fine di gennaio bruciano il ginee. Il ginee è un fantoccio formato da tailleur vecchi, pantaloni, giacca e camicia, è tutto imbottito di cotone, per fare la faccia cuciono un pezzo di stoffa bianca rotonda, la riempiono di cotone.

Finito questo procedimento gli pitturano occhi, naso e bucano la bocca per inserire un pezzo di legno come pipa,  a sua volta  la testa la inseriscono sul collo attraverso un buco in cui gli inseriscono un pezzo di legno che c’è sotto la testa e sopra la testa gli mettono un cappello. Alla sera del 31 gennaio lo legano su una scala di legno e lo portano in tutte le frazioni e la gente lo segue con in mano dei coperchi  che vengono picchiati assieme e gridano:”l’é murginee”. Finito il corteo in tutte e tre le frazioni vanno nell’area ricreativa dove viene posato sulla legna per essere bruciato. Prima di bruciarlo un signore di Maisano legge  una poesia in dialetto sul muginee. Dopo aver letto la poesia viene bruciato.

Francesco Canali, www.www.blogscuoleasso.it/bloggiornalismo

 

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S. Giovanni Bosco ai Monti di Sera

 

Una tradizione del mese di gennaio che da alcuni anni viene celebrata nelle tre parrocchie dei Monti di Sera è la festa di S. Giovanni Bosco. La ricorrenza avviene in concomitanza con la festa di S. Giovanni Bosco, il 31 gennaio, data della sua morte. S. Giovani Bosco nacque il 16 agosto 1815. A soli nove anni ebbe un sogno che gli rivelò la sua futura missione volta all’educazione della gioventù. Il giovane don Bosco iniziò, quindi, a radunare i ragazzi presso il Convitto di San Francesco per il catechismo. Fu un uomo molto generoso: ospitò molti bambini senza casa, insegnò loro a leggere e a scrivere. Costruì un oratorio che in breve tempo fu frequentato da molti ragazzi che impararono a crescere come fratelli aiutandosi e rispettandosi. È proprio da questo principio che nasce la nostra tradizione: noi ragazzi dell’oratorio dei Monti di Sera per tre giorni consecutivi ci ritroviamo in alcune case di Caglio, Sormano e Rezzago per pregare insieme e fare una piccola merenda. In questi giorni ( 29, 30 e 31 gennaio) il nostro parroco prende spunto dagli insegnamenti di Don Bosco per aiutarci a comprendere l’importanza dello stare insieme e ricordarci che siamo tutti fratelli. Il vero scopo di questa iniziativa è volersi bene e imparare a vivere in comunità. Per noi ragazzi è diventato un appuntamento annuale molto importante, vengono coinvolte le nostre mamme per la preparazione delle merende e, a conclusione di ogni giornata, viene scattata una foto di gruppo con l’immagine di S. Giovanni Bosco.

Simona Cadetto,  www.www.blogscuoleasso.it/bloggiornalismo

 

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La Giubiana di Canzo

A Canzo la celebrazione è particolarmente articolata, essendo presenti al processo in canzese con la sentenza dei Regiuu, ovvero gli anziani autorevoli del paese vari personaggi simbolici e tradizionali: La fata acquatica Anguana, proveniente dal Cèpp da l’Angua; L’Òmm Selvadech, cioè “uomo selvatico”, personaggio della mitologia alpina; L’Urzu, l’orso che esce dalla tana Cròta dal Bavèsc, simbolo della forza istintiva che deve essere domata; Il Casciadùr, cacciatore, che doma e fa ballare l’orso; Il Bòja, boia che rappresenta la condanna del male; Il Cilòstar, coloro che reggono i candelabri, incappucciati, che simboleggiano la luce che vince il Male; I Bun e i Gramm, i buoni e i maligni, bambini vestiti di bianco e di nero, tinti in volto, che con il suono delle campanelle e con il rumore delle latte invitano le forze del bene e scacciano il maligno; L’Aucatt di caus pèrs, l’avvocato delle cause perse, quello venuto dal foro di Milano per difendere la Giubiana; Il Barbanégra, l’indovino; Gli Scarenèj, i rappresentanti della vicina campagna di Scarenna, legata storicamente con i contadini canzesi; Le Strij picitt, le streghe che fanno paura ai bambini; La Cumàr da la Cuntrada, che legge il testamento della Giubiana; Il Diaul, il diavolo che canta l’ode alla Giubiana; I Pumpiér, i pompieri in bicicletta, in costume storico e con la pompa dell’Ottocento; Il Pastùr, il rappresentante in maschera del mestiere pastorizio; I Buschiröö, la maschera del boscaiolo; Il Carètt di paisàn, il carretto dei contadini; Il Traìn, lo slittone con le fascine, ed altri ancora, che percorrono in processione parte del centro storico.

Lucia Paredi, www.www.blogscuoleasso.it/bloggiornalismo

 

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Le tradizioni del mese di gennaio

Le tradizioni che ci sono state tramandate relative al mese di gennaio continuano tuttora. Il diciassette, S. Antonio Abate, a Crevenna e in altri paesi c’è la fiera con le bancarelle e le giostre e la sera si brucia un fantoccio fatto a forma di maiale e se il falò brucia bene sarà un anno prolifico. L’ultima settimana di gennaio in molti paesi tra i quali Valbrona, Canzo, Albavilla si brucia il “Ginee” o la “Giubiana”, un fantoccio altissimo fatto di carta e stracci che, assomiglia ad una donna brutta e vecchia. Anche in questo caso se il falò arde bene vuol dire che l’anno sarà prolifico. Durante queste sere distribuiscono il vin brulè. Il 29-30-31 sono detti “Giorni della Merla”.  La leggenda racconta che una volta i merli erano bianchi. Siccome questi giorni erano i più freddi dell’anno, si misero sui comignoli dei tetti  per riscaldarsi e dall’ora con il fumo che usciva divennero neri.

Cristina Scarpitta, www.www.blogscuoleasso.it/bloggiornalismo

 

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La Giubiana

La Giubiana o Festa della Giobia è una festa tradizionale molto popolare in Lombardia, specialmente in Brianza. E’ festeggiata da molte località lombarde e piemontesi. La leggenda vuole che la Giubiana sia una strega che vive nei boschi e spaventa tutti quelli che vi entrano, soprattutto i bambini. E l’ultimo giovedì di gennaio va alla ricerca di qualche bambino da mangiare. Leggermente diversa è la storia della Giubiana di Cantù, che sarebbe stata una giovane bellissima, una castellana che ebbe l’ardire di tradire la città in un lontano passato nella guerra tra milanesi e comaschi. Bruciare la Giubiana vuol dire scacciare l’inverno. Se brucia bene, è buon auspicio per il nuovo anno, per la primavera e per il raccolto. Per noi è semplicemente una bellissima festa, molto sentita dal paese. Tuttavia, i bambini della scuola di Asso festeggiano la Giubiana mangiando risotto e salsiccia, ma non solo: tutti insieme, infatti costruiscono un “Fantoccio” che rappresenta la Giubiana, riempiendolo di petardi e altre cose simili. La conclusione? Lo mettono al rogo!

Nana Labaz, www.www.blogscuoleasso.it/bloggiornalismo

 

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La leggenda della Giubiana

La Giubiana è una strega, spesso magra, con le gambe molto lunghe e le calze rosse. Vive nei boschi e grazie alle sue lunghe gambe, non mette mai piede a terra, ma si sposta di albero in albero. Così osserva tutti quelli che entrano nel bosco e li fa spaventare, soprattutto i bambini. E l’ultimo giovedì di gennaio va alla ricerca di qualche bambino da mangiare. Ma una mamma, che voleva molto bene al suo bambino, le tese una trappola. Preparò una gran pentola piena di risotto giallo (zafferano) con la luganega (salsiccia), e lo mise sulla finestra. Il profumo era delizioso, da far venire l’acquolina in bocca. La Giubiana sentì il buon odore e corse con la sua scopa, verso la pentola e cominciò a mangiare il risotto. Il risotto era tanto ma era così buono, che la Giubiana non si accorse che stava per arrivare il sole. Il sole uccide le streghe, così il bambino fu salvo. In alcuni paesi della Vallassina si svolge una festa simile: il Murgineè. La parola deriva dal dialetto e significa “è morto Gennaio”. Si brucia un fantoccio che rappresenta Gennaio, su un falò, mentre le persone attorno fanno rumore battendo pentole coperchi e bidoni per spaventare il mese più freddo dell’anno gridando: ”Murgineè l’è mort in pèè l’è mort in tera   nem a fa la guera”  oppure:”Murginèè  l’è mort in pee  senza gamp e senza pè”  sperando così  di far cessare presto la brutta stagione.

Giovanni Ramon, www.www.blogscuoleasso.it/bloggiornalismo

 

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26 gennaio festa della Giubiana

La Giubiana è una festa molto popolare in Lombardia, specialmente in Brianza, nelle terre Comasche . L’ultimo giovedì del mese, nelle piazze del paese vengono accessi dei  falò dove sono bruciati  fantocci vestiti di stracci, che rappresentano i mali dell’inverno e dell’anno trascorso.

Le origini del rito sono diverse: alcuni prediligono un’interpretazione “politica” vedendo nell’evento la manifestazione del conflitto tra popolo e tiranno; altri preferiscono pensare ai tempi dell’inquisizione e della caccia alle streghe. Altri si spingono ancora più indietro  al I secolo d.C e attribuiscono l’evento a residui di riti celtici, quando i fantocci di manichini e vimini venivano bruciati dai sacerdoti  per propiziarsi il favore degli dei in battaglia. Altri, infine, attribuiscono gli attuali roghi a quelli dei sacerdoti cristiani che bruciavano simbolicamente le divinità pagane. Secondo l’ultima interpretazione il nome Giubiana deriverebbe da Joviana. La Giubiana, è oggi diventata un’occasione per stare in compagnia,  e magari come prescrive la tradizione mangiare“il risotto con la luganega”, accompagnata dal “vin brulè”. Se la Giubiana brucia bene è un buon auspicio per l’anno iniziato. Il rogo assume valori diversi a seconda della località in cui ci si trova. A Canzo, ad esempio, la celebrazione è articolata, in quanto la Giubiana a un processo in canzese con la sentenza dei Regiuu, ovvero gli  autorevoli anziani del paese.La festa è arricc hita da vestiti tradizionali, tra cui la gamba rusa (rossa). L’atmosfera è di forte festosità.

Martina Ruggiero, Aisha Rocek, www.www.blogscuoleasso.it/bloggiornalismo

 

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La Giubiana

La Giubiana o Festa della Giobia è una festa tradizionale molto popolare in Lombardia, specialmente in Brianza, nell’Altomilanese. L’ultimo giovedì del mese di gennaio vengono accesi dei grandi falò o roghi nelle piazze e bruciata la Giubiana, un grande fantoccio di paglia vestito di stracci.

Il rito del rogo della Giubiana, altrove chiamata Giubia o Giobia, è una tradizione che si perpetua ogni anno in parecchie località della Lombardia settentrionale. Il nome deriva da Iovis (Giove), che dà anche il nome al giorno di giovedì, giorno sacro al dio pagano. La Giubiana è una donna brutta e cattiva, una strega. È lei la colpevole dei mali dell’anno passato, e la sua morte sul rogo rappresenta un buon auspicio per l’anno che sta iniziando. A Canzo la celebrazione è molto curata e partecipata dai cittadini. Si tratta di una specie di rappresentazione teatrale per le vie del centro, in cui la Giubiana, legata ad un carro trainato da un asino, viene portata prima in processione fino alla piazza del mercato, dove avviene il processo, e poi, una volta giudicata, si va tutti al prato “delle stelline”, dove è già pronta una pira sulla quale viene issato e dato alle fiamme il fantoccio della strega. Alla fine del corteo ci si ritrova tutti insieme, si mangia il risotto allo zafferano con la salsiccia e si beve il vin brulè.

Martina Occhiuto, Giulia Crippa, Francesca Paredi

 

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I giorni della merla

I “ Giorni della Merla” sono, secondo la tradizione, gli ultimi tre giorni di gennaio, considerati i più freddi dell’inverno. Si chiamano in questo modo,perché, secondo una leggenda, per ripararsi dal freddo, la merla, un tempo bianca, si rifugiava dentro un comignolo, uscendone piena di fuliggine trasformando il suo piumaggio da bianco in nero. In modo particolare, nel Friuli, i contadini prendono nota delle condizioni meteorologiche di questi tre giorni e sulla base di esse prevedono  il tempo di gennaio, febbraio e marzo: se il 29 gennaio è molto freddo e soleggiato, significa che tutto il mese, ormai passato, il tempo era stato freddo ma soleggiato; se il 30 è piovoso e mite per il mese di febbraio si prevedono temperature giuste e abbondanti piogge. A Lodi invece, si festeggiano i Giorni della Merla tramite due cori, che disponendosi sulle rive dell’Adda si chiamano e si rispondono con una canzone, intitolata “La Merla” registrata dal gruppo dei Baraban.

Debora Faravelli, www.www.blogscuoleasso.it/bloggiornalismo

 

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La leggenda della merla

Gli ultimi tre giorni di gennaio sono i cosiddetti “giorni della merla” sono i giorni più freddi dell’inverno. Il nome deriva dalla leggenda, di una merla che  per proteggere lei e i suoi piccoli che erano prima bianchi dal gran freddo, si ripararono dentro un camino, da cui uscirono il 1º febbraio, tutti neri per colpa della fuliggine. Da quel momento tutti i merli furono neri. Secondo un’altra versione la leggenda parla di una merla con uno splendido candido piumaggio, era tartassata da Gennaio, che si divertiva ad attendere che la merla uscisse dal nido in cerca di cibo per i suoi piccolo, per gettare sulla terra freddo e gelo. Stanca delle continue persecuzioni la merla quell’anno decise di fare provviste sufficienti per un mese, e si rinchiuse, per il mese di gennaio, che allora aveva solo 28 giorni. L’ultimo giorno del mese, la merla pensando di aver fregato il cattivo gennaio, uscì dal nido e si mise a cantare per sbeffeggiarlo. Gennaio si risentì talmente tanto che chiese in prestito tre giorni a Febbraio e si scatenò con bufere di neve, vento, gelo, pioggia. La merla si rifugiò in un camino e lì restò al riparo per tre giorni. Quando la merla uscì, il suo bel piumaggio si era annerito a causa del fumo e così rimase con le piume nere. Secondo la leggenda, se i Giorni della Merla sono freddi, la Primavera sarà bella, se sono caldi la Primavera arriverà in ritardo. Per quanto la leggenda parli di una merla, nella realtà questi uccelli hanno il piumaggio bruno nelle femmine, mentre nero brillante nel maschio.

Edoardo e Eleonora Brugnera, www.www.blogscuoleasso.it/bloggiornalismo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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La festa di Sant’Antonio a Erba

Si dice che il dito rubato nel ’500 dalla sacra mano di Sant’Antonio Abate custodita nella chiesa di Santa Maria degli Angeli a Crevenna, una volta riportato al suo posto si saldò miracolosamente alla reliquia. E per questo, da secoli, centinaia di persone salgono verso la frazione più alta di Erba per baciare la reliquia ancora custodita nella chiesa adiacente a Villa Amalia e per partecipare alla Fiera di Sant’Antonio.
Al circo equestre e ai primi cinema, che richiamavano curiosi da tutta la Brianza, si sono sostituiti il luna park e le decine di bancarelle con il finale del «Gran falò del purcel». Si svolge anche la benedizione del sale per gli animali e la benedizione delle autovetture. Il  17 gennaio si svolge la messa solenne con la suggestiva processione delle confraternite (che partono dalla chiesa di Santa Marta) e più tardi la messa con la benedizione della mano di Sant’Antonio.

Martina Castracane, Milazzo Dalila

 

 

 

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Il fuoco di Sant’Antonio

Tutti coloro che hanno a che fare con il fuoco vengono posti sotto la protezione di Sant’Antonio, in onore del racconto che vedeva il Santo addirittura recarsi all’inferno per contendere al demonio le anime dei peccatori. Per questo, molti malati afflitti dal Fuoco di Sant’Antonio accorrevano per chiedere grazie e salute. Questa forma corrisponde a due malattie: l’ergotismo, causato da un fungo parassita delle graminacee, e l’herpes zoster, causato dal virus varicella-zoster (o VZV, che si riattiva nell’organismo in concomitanza con un indebolimento delle difese immunitarie a causa dell’età o patologie gravi). Entrambe si manifestano sotto forma di eritemi e vescicole, il cui liquido è molto contagioso, con un decorso di poche settimane.

Giandomenico Alicino, Andrea Blasi, Mauri Jessica

 

 

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Origini antiche del culto di Sant’Antonio

La festa di Sant’Antonio ha un sostrato molto antico. Per gli antichi Celti il cinghiale era animale sacro: i druidi, legati al bosco e alla quercia, lo avevano scelto come animale totemico. Per loro il cinghiale era consacrato al dio Lug, che ritenevano avesse portato la luce sotto forma di fuoco. L’immagine di sant’Antonio sarebbe dunque la rivisitazione in chiave cristiana proprio del druidico Lug, la cui festa – che coincideva con quella del fuoco nascente – cadeva intorno al 17 gennaio. Con una differenza: al posto del cinghiale simbolo di sapienza c’è il maiale, alter ego del demonio. La figura e il culto del Santo, dunque, nascondono una tradizione che affonda le sue radici in culti ancestrali e rappresentano un tentativo, riuscito, di sincretismo tra le credenze antiche e la religione cristiana.

Michela Lazzarin www.www.blogscuoleasso.it/bloggiornalismo

 

 

 

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