il 25 maggio bloggiornalismo è AMAZZONIA. A Belo Monte con Aldo Lo Curto

Capo Raoni piange dopo aver sentito che la diga di Belo Monte sarà costruita

In Brasile,  uno degli stati più grandi del mondo, con Aldo Lo Curto. Inizia così il nostro viaggio fra gli Indios, gli antichi abitanti di queste terre, che devono il loro nome all’ormai famoso errore di Cristoforo Colombo. Con il dottor lo Curto andremo vicino alla città di Altamira, alla controversa diga Belo Monte, che minaccia le terre di molte tribù e le fonti di cibo indispensabili alla loro sopravvivenza.

Schiavi dei Portoghesi alla ricerca dell’oro, gli Indios preferivano lasciarsi morire di fame che vivere in schiavitù. Inizia così la tratta degli schiavi dalle cose nord-orientali africane. Nel 1888 la schiavitù è stata abolita e gli africani deportati in Brasile hanno potuto contrarre matrimoni con i bianchi e gli Indios. Nasce così una popolazione nuova, dovuta alla mescolanza di queste razze. Il Brasile è questo. Una mescolanza di razze che convivono da tempo: mulatti (bianco-nero), meticci (bianco-indio), mammalucchi o cafusi (nero-indio).

1 milione di Indios, 200 popoli che parlano moltissime lingue diverse – fra di loro non si capiscono – e che rischiano l’estinzione. 60 indigeni che parlano la loro lingua. Il giorno che per una catastrofe quel popolo è colpito, la loro lingua muore, non si parla più. Il rischio fisico di estinzione è alto e questi popoli non hanno la scrittura. I popoli indigeni hanno solo tradizione orale. Si tramandano le conoscenze di padre in figlio, di nonno in nipote. Passa in questo modo l’albero genealogico della loro famiglia, la storia del loro villaggio, la cultura del loro popolo.

“La prima volta che arrivai nella foresta amazzonica, più di dieci anni fa, fui avvicinato innanzitutto dai bambini. I bambini indios sono curiosissimi. Mi chiesero qual era la mia tribù e trovarono singolare che non avessi nè moglie, nè figli e ancora più strano parve loro che non sapessi nè cacciare, nè pescare. Per loro ero un imbranato. Nonostante tutto, mi hanno insegnato a vivere nella giungla e, con il tempo, si sono fidati a farsi curare da me”. Così Aldo Lo Curto, medico itinerante volontario, ha raccontato in questi giorni a Roma, su invito dell’ambasciatore brasiliano e dell’Associazione Italia-Brasile, il suo incontro con quattro piccole tribù amazzoniche, Ararete, Asurini, Cararao e Arara. Seicento anime in tutto, concentrate nella regione di Xingu River, una fascia di terra delimitata dai fiumi Xingu e Iriri.

Il sogno di Aldo Lo Curto è impedire l’estinzione dei pochi sopravvissuti agli stermini assurdi e crudeli, grazie anche alla diffusione della conoscenza della loro cultura nel mondo. Oggi gli abitanti originari dell’Amazzonia sono 220 mila, ma appena trent’anni fa erano due milioni, mentre prima dell’arrivo di Colombo dovevano essere circa dieci milioni. La cultura, l’ambiente e lo stile di vita degli indios è stato profondamente alterato dall’arrivo degli europei. Per questo il dottor Lo Curto ama particolarmente vivere tra quelle tribù che ancora conservano in gran parte la loro cultura precolombiana.

Sin da piccolissmi imparano a conoscere e a rispettare la natura giocando con le farfalle, le tartarughe, i pappagalli e le scimmiette. A sette, otto anni, cominciano a inoltrarsi da soli nel folto della vegetazione della foresta per imparare a orientarsi e a saper distinguere le piante. Si divertono con il fiume nuotando controcorrente e, se sono maschietti, iniziano a cacciare e a pescare con dei piccoli archi. Le femmine, invece, imparano a cucinare il cibo, intrecciare le fibre vegetali per farne stuoie o a realizzare vasi di ceramica. Senza imposizioni, è tutto un gioco. Il risultato di una vita in armonia con la natura e con se stessi è il sorriso. Gli indios sorridono sempre e pensano che chi non è capace di ricambiare un sorriso sia malato. Ridono perfino dei morti, perchè per loro l’individuo non muore, ma si trasforma in uno spirito che continua a gravitare nel villaggio. Se un uomo e una donna indios muoiono in solitudine si organizzano vere e proprie cerimonie di matrimonio tra i defunti per farli stare in compagnia. La solitudine è inconcepibile. A 18-20 anni ci si sposa e si fanno figli, di cui si occupa tutta la tribù. Non sono famiglie numerose, al massimo due bambini per coppia. La donna conosce piante che regolano le nascite, secondo un sapere millenario. E’ una scelta culturale fatta per questioni di sicurezza: in caso di imminente pericolo, ognuno dei genitori si carica addosso un figlio per fuggire rapidamente nell’intricata foresta. La tribù segue con grande partecipazione tutte le tappe importanti della vita di ciascun membro, dalla nascita al matrimonio, dalla gravidanza all’educazione dei bambini, nella malattia e fino alla morte. La tribù si riunisce sia durante i riti medico-religiosi dello sciamano, che spesso è il capo tribù, sia quando ci si va a far visitare dal medico occidentale che prescrive le medicine oppure opera:  il coniuge sano non lascia un minuto quello malato, tenendolo per mano, mentre tutta la comunità li circonda come in un grande abbraccio. E nella malattia, il medico occidentale collabora con quello indigeno: lo sciamano assiste psicologicamente il malato, mentre il medico interviene con le iniezioni e le suture. Si supera così il problema di dover scegliere tra la rassicurante tradizione o la novità estranea. Il dottore italiano ha conquistato la fiducia degli indios che gli hanno svelato il segreto dei poteri curative di piante, cristalli e animali. “Purtroppo, molte aziende farmaceutiche hanno scoperto che la foresta è una miniera di farmaci. Gli inviati dell’industria si inoltrano nella giungla portando con loro quel misterioso oggetto che è la radio con la cassetta da cui esce la musica. Poi, chiedono all’indio una pianta per il mal di testa e loro, gentilmente, gliela forniscono. Il principio attivo arriva sul mercato, fa fruttare miliardi alle aziende, e all’indio rimane un inutile registratore. Ma diverse organizzazioni si stanno muovendo per riconoscere finalmente agli indios i diritti di proprietà sulla loro cultura. Gli Indios sono semi-nomadi, per ragioni di sopravvivenza: ogni cinque-dieci anni devono spostarsi. Il dottor lo Curto ci dice che lui ha imparato tre cose dagli Indios: il rispetto per la natura (caccio per sopravvivere e se ne ho di più lo divido con gli altri), il rispetto dell’anziano (non ci sono libri e il funerale di un anziano può durare anche tre mesi. Lo rimpiangono e lo ricordano ogni giorno piangendo moltissimo), il rispetto del bambino (non si può assolutamente picchiare un ragazzino. Se hanno comportamenti eccessivi ridicolizzano davanti a tutti il ragazzo che si comporta male. Ad esempio gli tagliano i capelli in modo ridicolo e gli altri lo prendono in giro). Se un bambino guarda con intensità una cosa di un altro, quest’altro ha l’obbligo di regalarglielo. Sin da piccoli devono imparare a essere generosi, a non attaccarsi alle cose, agli oggetti.

Del 1988 la costituzione brasiliana riconosce il diritto ai popoli indigeni di perseguire i loro modi di vita tradizionali e al possesso permanente ed esclusivo delle loro “terre tradizionali”, che sono delimitate come “Territori Indigeni” . Tuttavia, i popoli indigeni sono ancora costretti ad affrontare una serie di minacce esterne e le sfide per la loro esistenza e la conservazione del loro patrimonio culturale. I processi di demarcazione delle riserve sono lenti, spesso scatenano battaglie legali e le varie organizzazioni, prima fra tutte il FUNAI, non hanno risorse sufficienti per far rispettare la tutela giuridica dei territori.

Dagli anni ottanta c’è stato poi un boom nello sfruttamento della foresta pluviale amazzonica per l’estrazione e per l’allevamento intensivo del bestiame, che costituiscono una grave minaccia per le popolazioni indigene. I coloni illegalmente invadono i territori indigeni continuando a distruggere l’ambiente necessario per gli stili di vita tradizionali delle varie etnie, provocando violenti scontri e diffondendo tra i gruppi malattie infettive. Ad esempio, gruppi come gli Akuntsu e i Kanoe sono state portati sull’orlo dell’estinzione durante gli ultimi decenni del XX secolo.

 

0 thoughts on “il 25 maggio bloggiornalismo è AMAZZONIA. A Belo Monte con Aldo Lo Curto

  1. mi piace molto…questo argomento.. e sopratutto per le azioni d beneficenza che il dottor
    Aldo Lo Curto fa per tutti i bambini,famiglie povere.. e mi dispiace molto per la costruzione della diga in un posto bello come quello… e solo per le case ,per le famiglie e per il posto dove abitavano ora per una diga loro devono spostarsi e potrebbero far subire danni molto alti all’ambiente a causa dell’inquinamento per la diga

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *