0 thoughts on “01.11.2012, la Provincia di Como: Un blog a scuola per seguire i viaggi di Lo Curto”
profcamiNada
Gli occhi dei poveri
Ah, volete proprio sapere perché oggi vi odio? Per me non sarà difficile spiegarvelo. Ma certo per voi non sarà facile capirlo, perché siete, credo, il più bell’esempio di impermeabilità femminile che si possa incontrare. Avevamo passato insieme un’intera giornata, che mi era parsa breve. Ci eravamo promessi di avere in comune
tutti i nostri pensieri, e che le nostre anime sarebbero state ormai un’anima sola: un sogno che dopotutto non ha niente di originale, se non il fatto che pur essendo stato sognato da tutti non è stato realizzato da nessuno.
La sera, un po’ stanca, voleste sedervi all’angolo di un nuovo boulevard, davanti a un nuovo caffè ancora pieno di calcinacci, e che già mostrava la gloria dei suoi incompiuti splendori. Il caffè scintillava. Perfino il gas vi esibiva tutto l’ardore di un debutto, e con tutte le sue forze rischiarava i muri di un biancore accecante, le abbaglianti superfici degli specchi, gli ori delle modanature e delle cornici, i paggi dalle guance paffute trascinati dai cani al guinzaglio, le dame che sorridevano al falcone appollaiato sul loro pugno, le ninfe e le dee con frutti, pasticci, cacciagione in capo, Ebe e Ganimede che porgono col braccio teso la piccola anfora per la «bavarese», o l’obelisco tricolore dei gelati mantecati; tutta la storia e tutta la mitologia messe al servizio dell’ingordigia.
Proprio davanti a noi, sulla carreggiata, se ne stava impalato un brav’uomo sulla quarantina, la faccia stanca, la barba ingrigita, che teneva per mano un bambino e reggeva sull’altro braccio un esserino troppo debole per camminare.
Faceva da bambinaia, e portava i suoi figli, la sera, a prendere un po’ d’aria. Cenciosi tutti e tre. Quei tre visi erano straordinariamente seri, e quei sei occhi contemplavano e fissavano il caffè nuovo con pari ammirazione, benché con diverse sfumature a seconda dell’età.
Gli occhi del padre dicevano: «Come è bello! Come è bello! Si direbbe che tutto l’oro della povera gente sia venuto a mettersi su questi muri». Gli occhi del bambino: «Come è bello! Come è bello! Ma è una casa dove possono entrare solo quelli che non sono come noi». Quanto agli occhi del più piccolo, erano troppo affascinati per esprimere qualcosa di diverso da una gioia profonda e ottusa.
Gli autori di canzoni dicono che il piacere rende l’anima buona e intenerisce il cuore. Per quanto riguarda me, la canzone quella sera aveva ragione. Non solo ero intenerito da quella famiglia d’occhi, ma avevo un po’ vergogna dei nostri bicchieri e delle nostre caraffe, più grandi della nostra sete. Giravo il mio sguardo verso il vostro, mio caro amore, per leggervi il mio stesso pensiero; mi tuffavo nei vostri occhi così belli, così bizzarri e dolci, nei vostri occhi verdi, abitati dal capriccio e ispirati dalla Luna, quando mi diceste: «Questa gente, con quegli occhi spalancati come portoni, mi è insopportabile! Non potreste chiedere al maître di allontanarli da qui?».
Tanto difficile è capirsi, caro angelo mio! E il pensiero è a tal punto incomunicabile, anche fra coloro che si amano!
Gli occhi dei poveri
Ah, volete proprio sapere perché oggi vi odio? Per me non sarà difficile spiegarvelo. Ma certo per voi non sarà facile capirlo, perché siete, credo, il più bell’esempio di impermeabilità femminile che si possa incontrare. Avevamo passato insieme un’intera giornata, che mi era parsa breve. Ci eravamo promessi di avere in comune
tutti i nostri pensieri, e che le nostre anime sarebbero state ormai un’anima sola: un sogno che dopotutto non ha niente di originale, se non il fatto che pur essendo stato sognato da tutti non è stato realizzato da nessuno.
La sera, un po’ stanca, voleste sedervi all’angolo di un nuovo boulevard, davanti a un nuovo caffè ancora pieno di calcinacci, e che già mostrava la gloria dei suoi incompiuti splendori. Il caffè scintillava. Perfino il gas vi esibiva tutto l’ardore di un debutto, e con tutte le sue forze rischiarava i muri di un biancore accecante, le abbaglianti superfici degli specchi, gli ori delle modanature e delle cornici, i paggi dalle guance paffute trascinati dai cani al guinzaglio, le dame che sorridevano al falcone appollaiato sul loro pugno, le ninfe e le dee con frutti, pasticci, cacciagione in capo, Ebe e Ganimede che porgono col braccio teso la piccola anfora per la «bavarese», o l’obelisco tricolore dei gelati mantecati; tutta la storia e tutta la mitologia messe al servizio dell’ingordigia.
Proprio davanti a noi, sulla carreggiata, se ne stava impalato un brav’uomo sulla quarantina, la faccia stanca, la barba ingrigita, che teneva per mano un bambino e reggeva sull’altro braccio un esserino troppo debole per camminare.
Faceva da bambinaia, e portava i suoi figli, la sera, a prendere un po’ d’aria. Cenciosi tutti e tre. Quei tre visi erano straordinariamente seri, e quei sei occhi contemplavano e fissavano il caffè nuovo con pari ammirazione, benché con diverse sfumature a seconda dell’età.
Gli occhi del padre dicevano: «Come è bello! Come è bello! Si direbbe che tutto l’oro della povera gente sia venuto a mettersi su questi muri». Gli occhi del bambino: «Come è bello! Come è bello! Ma è una casa dove possono entrare solo quelli che non sono come noi». Quanto agli occhi del più piccolo, erano troppo affascinati per esprimere qualcosa di diverso da una gioia profonda e ottusa.
Gli autori di canzoni dicono che il piacere rende l’anima buona e intenerisce il cuore. Per quanto riguarda me, la canzone quella sera aveva ragione. Non solo ero intenerito da quella famiglia d’occhi, ma avevo un po’ vergogna dei nostri bicchieri e delle nostre caraffe, più grandi della nostra sete. Giravo il mio sguardo verso il vostro, mio caro amore, per leggervi il mio stesso pensiero; mi tuffavo nei vostri occhi così belli, così bizzarri e dolci, nei vostri occhi verdi, abitati dal capriccio e ispirati dalla Luna, quando mi diceste: «Questa gente, con quegli occhi spalancati come portoni, mi è insopportabile! Non potreste chiedere al maître di allontanarli da qui?».
Tanto difficile è capirsi, caro angelo mio! E il pensiero è a tal punto incomunicabile, anche fra coloro che si amano!
C. Baudelaire
ma prof quanto ha scritto? che voglia anzi che noia