Perchè insegnare italiano con Pinocchio. Un progetto per la I A e la I B

PERCHE’ INSEGNARE ITALIANO CON PINOCCHIO
CONTESTO STORICO
Tra gli anni 1881- 1883 l’analfabetismo era attestato al 55% per i maschi e al 70% per le femmine. Avere avuto un libro quale Pinocchio (e Cuore) ha significato fare leggere la lingua nazionale ad un popolo di analfabeti, per i quali la lingua italiana era la lingua degli stranieri.
Con Pinocchio si istruiva divertendo sollecitando nelle masse la simpatia per una norma impositiva di un potere politico ancora non universalmente accettato.
Pinocchio e Cuore hanno aiutato in qualche modo la nuova Italia a risultare meno lontana, meno straniera a sé stessa, facendo della legge Coppino (la prima legge sulla scuola del nuovo regno) il punto di partenza per un riscatto morale e sociale senza confini, strappando i bambini al lavoro nei campi o nelle fabbriche in nome di una istruzione obbligatoria che era anche la possibilità di costruire una nuova società.

CONTESTO CONTEMPORANEO
Leggere oggi Le avventure di Pinocchio vi risalta la nettezza di un italiano da lezionario, comprensibile e persino semplice.
Tuttavia alcune espressioni si sono perse, altre, proprie del toscano, non sono mai passate alla comunità dei parlanti della Penisola.
Dunque, le ragioni di insegnare Italiano con una storia che ancora oggi suscita consenso e piacevole attrazione sono quelle di:
1) far comprendere ai ragazzi da dove provenga la lingua nazionale;
2) come una lingua nel corso del tempo possa cambiare e modificarsi ma come abbia pur sempre dei modelli da seguire e dai quali non dovrebbe mai discostarsi troppo;
3) far riscoprire la dolcezza e la musicalità della lingua italiana;
4) far riflettere sugli errori che si commettono in fase orale e scritta oggi.
Del resto il successo di Pinocchio aprì una vera e propria scuola, con quei racconti cui è stato dato il nome di pinocchiate, a partire da Il figlio di Pinocchio di Oreste Boni (a 10 anni dalla pubblicazione in volume dell’opera collodiana e a tre anni dalla dipartita dell’autore) e che il capolavoro collodiano è stato rimaneggiato, cambiato, interpretato, parodiato e si è moltiplicato in tanti fumetti, tante scritture, tanti film e cartoni animati.

IL MODELLO LINGUISTICO MANZONIANO
Tra i tanti meriti che si possono attribuire a libri come Cuore e Le avventure di Pinocchio uno dei più importanti è la loro esperienza linguista che segnerà profondamente i lettori dell’epoca e la scrittura del Novecento. Uscito dai torchi di Felice Paggi nel 1883 (ma già pubblicata a puntate nel «Giornale per i bambini», col titolo Storia di un burattino), Le avventure di Pinocchio ha avuto un ruolo chiave nel processo di unificazione linguistica dell’allora Regno d’Italia che, a più di vent’anni dalla sua fondazione, contava ancora altissime percentuali di dialettofoni. I due autori manzoniani scrivevano in un fiorentino vivo che stava cominciando ad imporsi sempre più come lingua della nazione, in un’epoca in cui l’italiano non era ancora parlato dalla maggioranza degli Italiani.
Dal 1881, per due anni, Carlo Lorenzini, in arte Collodi, scrive Storia di un burattino, pubblicata a puntante sul Giornale per i bambini, la quale vicenda si concludeva con l’impiccagione da parte di due briganti del birbante Pinocchio, il burattino refrattario alle regole. Primo caso di libro “scritto” dai lettori (i miei piccoli lettori), la redazione del giornale venne subissata di lettere che richiedevano la continuazione della storia. Così, per il clamoroso successo di pubblico, Collodi tornò a scrivere la storia intitolandola Le avventure di Pinocchio. Il testo completo sarà invece edito in volume soltanto nel 1883.
Nei trentasei capitoli definitivi del Pinocchio, Collodi, con uno stile colloquiale ma anche brioso e coinvolgente, mostra tutte le potenzialità della lingua parlata a Firenze. Pinocchio viene costruito dall’autore capitolo per capitolo e il testo ha un linguaggio semplice e chiaro, didattico. L’intenzione dell’autore non era però, solo quella di offrire, a puntante, la “storia di un burattino” (e della formazione come romanzo d’appendice ne restano tratti non solo nella lingua ma anche nella sequenza delle vicende) che parlasse ai ragazzi oltre Toscana e per questo si distinguesse per le molte frasi semplici e, ove complesse, per la costruzione principalmente paratattica. Ma, soprattutto, Pinocchio rispondeva a quel compito di divulgazione linguistica che Alessandro Manzoni aveva per anni promosso. Dopo l’edizione definitiva del 1840 dei Promessi sposi, frutto di una revisione linguistica nata dalla volontà di “risciacquare i panni in Arno”, Manzoni pubblicò alcuni scritti che ebbero grande risonanza all’interno dell’allora fervente dibattito linguistico: nel 1847 la Lettera a Giacinto Carena, in cui proponeva come modello linguistico nazionale quello del fiorentino colto; nel 1868-69 la relazione Dell’unità della lingua italiana e dei mezzi per diffonderla.
Indirizzata al ministro della pubblica istruzione, Emilio Broglio, che aveva incaricato Manzoni di presiedere una commissione deputata a proporre provvedimenti per promuovere l’unificazione linguistica, la relazione era seguita da un’Appendice in cui l’autore indicava due differenti strategie per diffondere il fiorentino d’uso vivo. Da una parte incoraggiava la pubblicazione di un dizionario, che avvenne tra il 1870 e il 1897, con l’uscita, presso l’editore Cellini, del Novo vocabolario della lingua italiana secondo l’uso di Firenze, con la curatela di Giovanni Battista Giorgini, genero di Manzoni, e del ministro Emilio Broglio. D’altra parte prestava grande attenzione all’operato delle istituzioni scolastiche: i maestri avrebbero dovuto essere adeguatamente formati e “fiorentinizzati” e l’editoria scolastica controllata ed incentivata nella pubblicazione di testi scolastici adatti.

ASPETTI DIDATTICI
Le Avventure di Pinocchio sono interessanti sia da un punto di vista narrativo che da un punto di vista linguistico.
Per dare soltanto un esempio della bravura scrittoria dell’esperto Collodi basterà analizzare il famoso incipit del romanzo, di per sé già una riscrittura totale del cliché del “C’era una volta”.
C’era una volta…
– Un re! – diranno subito i miei piccoli lettori
No, ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta un pezzo di legno.
Ora, a livello linguistico, in questo esordio c’è da un lato tutta la complessità della lingua italiana ma d’altro anche tutta la sua ricchezza e la bellezza.
Con queste poche righe si potrebbe spiegare, infatti, la successione temporale dei verbi, i quali fanno partire l’azione al passato, la proiettano nel futuro e infine la stabiliscono in un quasi presente: l’imperfetto “era”, il futuro semplice “diranno” e il passato prossimo “avete sbagliato”.
In tre frasi chiare e comprensibili, Collodi ha racchiuso una delle regole grammaticali più complesse della lingua italiana, la coniugazione verbale.
Inoltre nel tono colloquiale c’è un invito alla lettura da parte di tutti. Con il tono colloquiale, dimesso, quotidiano, infatti, Collodi veicolava idee manzoniane rispetto alla questione linguistica che potrebbero essere definite di “democrazia linguistica”. Idee che propugnavano l’adozione del fiorentino vivo delle classi colte come lingua nazionale, unica e unificatrice.
Pur vera è la critica al manzonismo secondo cui una lingua non poteva essere imposta dall’alto, ma Manzoni, De Amicis e Collodi rappresentano una triade perfetta, di diversa origine geografica, di rappresentanti del fiorentino vivo delle classi colte che, per grandi invenzioni letterarie, comincia a diventare comune tra gli abitanti della Penisola.
Il fine ultimo del Pinocchio è un fine didascalico, condotto con un tono adeguato e immediato. Per questo in varie parti del romanzo questo tono agevolerà la lettura e l’interesse e con essi anche la fortuna del manzonismo. In definitiva del Pinocchio si potrebbe dire che è stato un I promessi Sposi per bambini o meglio ancora, il I promessi sposi che Manzoni avrebbe potuto scrivere per l’infanzia.

CAPITOLI RILEVANTI PER LA VICENDA E PER LA LINGUA
– Il primo, il terzo, l’ottavo, il quindicesimo, il diciottesimo, il venticinquesimo, il trentaseiesimo
– Con i ragazzi si sottolineeranno espressioni dialettali, termini propri del toscano ed espressioni proverbiali e si analizzeranno i cambi di registro.
– Sarebbe interessante discutere dei termini e delle espressioni che sono scomparsi o sono in disuso o che rivestono oggi un significato diverso oppure, come il “per bene” finale, che sono stati usati nella formazione di altri sostantivi come perbenismo. Così risulterebbe importante fare capire la differenza tra essere un ragazzo per bene ed essere un perbenista

TOSCANISMI
Espressioni:
Non so come andasse, ma il fatto gli è che …, Gli è il gran bene che vi voglio…, Star di balla, ciurlare nel manico, ridere a crepapancia, cuore di Cesare, pigliare un dirizzone, mi sta il dovere, rimaner di princisbecco, dolce di sale (sciocco), tornare una pittura, “un ragazzo per bene”.
Termini:
azzoppito, ammalizzito, abbeccedario, berciare, birba, garbare, boccuccia, chetarsi (tacere), moccichino (fazzoletto), trappolare (ingannare)…
Le avventure di Pinocchio offre uno spaccato del fiorentino vivo di tono medio di fine Ottocento: medio in quanto, da un lato, sono rare le voci letterarie e forbite, usate per lo più con finalità ironiche («Potrei punirvi, ma sí vil non sono!», «Questo sentimento di delicatezza vi onora moltissimo e io ve ne serberò eterna riconoscenza!»), dall’altro agisce nel testo un certo controllo sui toscanismi avvertiti come più popolari, come il monottongamento di –uo-, presente di rado.
È una lingua viva e spontanea: frequenti sono infatti le incursioni nel registro parlato e familiare. Nutrito è il repertorio lessicale prettamente toscano: “berciare” (gridare), “lucciconi” (lacrime), “bizza” (stizza), “garbare” (piacere), “imbizzito” (incollerito), “menare” (condurre), “moccichino” (fazzoletto), “pizzicorino” (solletico), “trappolare” (ingannare) e molti altri ancora. Non mancano elementi morfologici dialettali: “ammodo”, “codesto”, “costì”, “mi’ babbo”, “anderò”, “arrivedella”, “gli è che”.
Il tono del libro, brillante e familiare, è affidato ad alcuni tratti ascrivibili al registro parlato: dislocazioni («ma la casacca non l’aveva più», «si vede che quella vocina che ha detto ohi, me la son figurata io»), che polivalente («erano molte ore che non aveva mangiato», «Ora sì che sto bene!»), ridondanze pronominali («mi farai morire anche a me», «a me l’amaro non mi piace»), concordanze a senso e anacoluti («e io, quando mi svegliai, loro non c’erano più», «mi viene i bordoni soltanto a pensarci!», «come ce n’è tanti»), esclamazioni e onomatopee («intanto la fame l’ho sempre e i piedi non li ho più! Ih!… Ih!… Ih!… Ih!…», «Sento uno spasimo, che quasi quasi … Etcì! Etc! – e fece altri due starnuti»).
Sono frequenti anche i procedimenti di intensificazione espressiva. Si tratta di ingredienti favolistici enfatici di sicuro successo presso il pubblico dei più piccoli: sono continui gli appelli al lettore e gli imperativi “immaginativi” («figuratevi come rimase quel buon vecchio di maestro Ciliegia!», «Ma figuratevi come rimase quando, nel cercargli gli orecchi, non gli riuscì di poterli trovare: e sapete perché?»), le ripetizioni («cammina, cammina, cammina», «e cresci, cresci, cresci»), gli alterati («scimmiotto», «omaccio», «Grillaccio») e le iperboli («faceva degli sbadigli così lunghi, che qualche volta la bocca gli arrivava fino agli orecchi», «vide uscire dalla grotta un pescatore così brutto, ma tanto brutto, che pareva un mostro marino»).
La vera novità linguistica sta nelle numerose espressioni idiomatiche toscane che, grazie a Pinocchio, sarebbero entrare nell’uso e vi rimangono a tutt’oggi, contribuendo alla formazione della fraseologia italiana:
“avere ragione da vendere”;
“alto come un soldo di cacio”;
“leggero come una foglia”;
“dall’oggi al domani”;
“chi s’è visto s’è visto”;
“essere agli sgoccioli”;
“volere un bene dell’anima”;
“andare su tutte le furie”;
“un sacco e una sporta”;
“volere un bene dell’anima”
e molte altre ancora.
Le ingegnose scelte espressive e narrative hanno reso memorabili e proverbiali anche personaggi e luoghi dell’opera: “Il Grillo parlante”, “Il gatto e la Volpe”, “Il Paese dei balocchi”.

PROVERBI
Non volendo fare la fine del piccione arrosto.

IL CAMBIO DI REGISTRO
In alcuni rari momenti si assiste ad un cambio di registro, nei quali la variante diamesica della riproduzione di un testo scritto è portatrice di una lingua più ricercata. Ad esempio nel trentatreesimo capitolo viene riportato il manifesto di uno spettacolo teatrale in cui Pinocchio, trasformato in asino, anzi in ciuchino, si esibirà
Capitolo 33
“GRANDE SPETTACOLO
DI GALA
Per questa sera
AVRANNO LUOGO I SOLITI SALTI
ED ESERCIZI SORPRENDENTI
ESEGUITI DA TUTTI GLI ARTISTI
e da tutti i cavalli d’ambo i sessi
della compagnia
e più
sarà presentato per la prima volta
il famoso
CIUCHINO PINOCCHIO
Detto
LA SETLLA DELLA DANZA
Il teatro sarà illuminato a giorno”.
È da sottolineare come, in maniera funzionale al suo fine didattico ma con contenuto sempre piacevole, Collodi spieghi che la lingua cambia anche tra parlato e scritto, a seconda del mezzo con cui io esprimo il mio pensiero (variante diamesica).

L’IRONIA DI COLLODI
Il più ricco di loro (della famiglia Pinocchio) chiedeva l’elemosina
(Mangiafoco chiedendo di Geppetto) E che mestiere fa? – Il povero

INTENTO PEDAGOGICO
Pinocchio è nato per insegnare tante cose, prima fra tutte una lingua nuova ad un nuovo Stato e questa uniformità è stata un punto di forza straordinario che ha permesso al romanzo di educare (intento pedagogico). Tanti i tanti messaggi contro il ribellismo, contro un mondo parodiato negli animali furbi e malvagi o intelligenti e saggi, e l’impegno costante all’affermazione di una morale pubblica e privata che finisce con le parole “un ragazzo per bene”.
La redenzione del burattino passa anche per un’acquisizione di termini che va via via cacciando le parole della bugia sostituendole con la scuola, il lavoro e il lessico di una società così diversa come quella italiana che si redimeva nel sogno dell’unica lingua. Lo straordinario amore che si ha per Pinocchio è un amore per sé stessi, una volontà di vederlo salvo e di salvarsi con lui. E questo amore è stato espresso in una lingua multiforme, per certi versi, e univoca per altri. Ma soprattutto Pinocchio rompe con il linguaggio innaturale e stantio, adottando una veste espressiva immediata e vivace, che ancora oggi è dotata di grande efficacia comunicativa ed è in grado di intrattenere e divertire grandi e piccini.
La carica innovativa di Pinocchio non si esaurisce certamente nella dirompente modernità della lingua. Da un punto di vista interpretativo, il successo dell’opera è motivato anche dai molteplici livelli di significazione che suggerisce: se ad una lettura immediata si presenta, con la sua atmosfera incantata e i personaggi surreali, come un racconto fiabesco e fantasioso, è possibile intendere il testo come romanzo di formazione, che ripercorre il cammino accidentato di Pinocchio da burattino monello a bambino perbene.

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