Quest’anno, in terza media, stiamo studiando le città del nord e del sud del mondo. Tanti sono gli elementi che le differenziano ma una cosa in comune ce l’hanno: sono città in continua trasformazione.
Abbiamo deciso di capire cosa significa il continuo cambiamento delle città andando in una metropoli a noi vicina, Milano. Lì ci siamo recati in un quartiere “in trasformazione”: il Quartiere Cinese che a Milano si identifica con la via Paolo Sarpi. Fino a vent’anni fa ancora un luogo simbolo della milanesità, con i suoi negozi e bar rappresentativi della tradizioni. Oggi una delle tante strade che si trovano in una qualsiasi grande città, occupata quasi totalmente da immigrati cinesi. Soprattutto di giorno perché quest’area è affollata da moltissimi grossisti che si recano in quest’area per lavorare.
E’ il regno del MADE IN CHINA!
Abbiamo raggiunto il quartiere con il treno (Asso-Milano Cadorna). Da lì abbiamo preso la linea gialla della metropolitana e siamo scesi alla fermata “Moscova”. Via Paolo Sarpi era poco lontana e abbiamo così iniziato la nostra passeggiata osservando l’arredo urbano (pavimentazione, panchine, fiori e piante, edifici..) e gli elementi in luogo che richiamavano alla tradizione milanese (negozi storici) o cinese catalogandone un po’ attraverso la macchina fotografica perchè questa era la nostra giornata “da reporter”. Inviati speciali di bloggiornalismo per redigerne un REPORTAGE fotografico e giornalistico.
Abbiamo studiato che le Chinatown ampiamente consolidate all’estero prendono sempre più forma anche a Roma e a Milano, nonostante le dimensioni di queste aggregazioni residenziali si differenzino ancora profondamente da quelle di più lunga realtà delle altre capitali europee ed americane.
Nelle Chinatown italiane, a differenza di quanto si registra in molte altre capitali, anche se i cinesi formano la nazionalità più numerosa, lo spazio del quartiere è condiviso tra varie nazionalità. La maggior parte delle attività economiche sono orientate al settore del commercio: le insegne dei negozi sono in idiomi cinesi, le merci sono chiaramente riconoscibili, gli addetti dei negozi appartengono alla nazionalità cinese.
A Milano la comunità cinese di via Paolo Sarpi, zona centrale posta a ridosso della stazione Garibaldi, lavora nei negozi al dettaglio e all’ingrosso che si susseguono lungo la strada tagliata ortogonalmente da altre vie anch’esse caratterizzate dall’allineamento di attività cinesi.
La zona è interamente costellata da attività commerciali all’ingrosso che servono gli ambulanti proveniente da tutta Italia. Sono oltre 500 le attività commerciali dichiarate e questo sviluppo ha provocato, negli anni, problemi organizzativi per il movimento continuo di carrelli e furgoni che caricano e scaricano merci.
E’ anche per questo che il Comune di Milano ha deciso di riqualificare la zona pedonalizzando la via Paolo Sarpi e rifacendola completamente, dotandola di un arredo urbano nuovo e qualificante. Attualmente la milanese Via Paolo Sarpi è stata pedonalizzata (rendendo difficili le attività commerciali che necessitano di molte operazioni di carico-scarico delle merci), sono state realizzate delle piccole aiuole allungate che danno un senso prospettico, ed e caratterizzata da edifici ristrutturati e signorili. I negozi cinesi si alternano con negozi tradizionali italiani. Un negoziante italiano ci ha detto che la pedonalizzazione ha portato a un minor passaggio (minor traffico nella via) e di conseguenza sono aumentati negli ultimi tempi i tentativi di scippo, attribuiti non ai cinesi ma alla situazione attuale.
La via è ora anche meta di piacevole passeggio perchè negli ultimi anni sono stati aperti anche numerosi negozi al dettaglio (che vendono al privato cittadino e non ai negozianti per la rivendita).
Qui siamo entrati in negozi “cinesi” che vendevano varie mercanzie ma soprattutto cover, accessori per cellulari, vestiti, soprammobili orientali, oggettistica varia e prodotti alimentari.
E’ stato bello curiosare soprattutto nei negozi alimentari dove abbiamo visto molti prodotti diversi dai nostri e abbiamo mangiato i biscotti della fortuna che ha comprato Marco. Siamo rimasti delusi perchè credevamo che ci fossero dentro i bigliettini, come nei Baci Perugina, mentre era semplicemente… biscotti!
Via Paolo Sarpi ci è piaciuta, anche se forse ce l’aspettavamo diversa. Forse ci immaginavamo di arrivare veramente in Cina mentre, tutto sommato, era una gita in curiosa via di negozi di Milano.
La cosa che ci ha colpito sono state le numerose scritte in cinese sparse ovunque, sia come insegne che come foglietti pubblicitari appiccicati un po’ ovunque sui pali pubblici del quartiere.
La convivenza con il vicino cinese da parte degli italiani non è sempre facile: in alcuni casi gli stranieri orientali vengono accettati e in altri contrastati. Abbiamo fatto alcune semplici domande-interviste a persone incontrate per strada che hanno infatti evidenziato reazioni contrastanti.
Alcune interviste hanno sottolineato come nonostante i negozi cinesi abbiano scalzato e soppiantato i negozi italiani molti abitanti abbiano accettato la trasformazione urbana e hanno portato avanti una convivenza pacifica, mentre altre hanno messo in evidenza l’importante e necessario lavoro dei comitati cittadini contro l’invasione cinese. Un’anziana donna che passeggiava per la via con il suo cane ci ha detto che ce n’erano dappertutto (di cinesi) anche nelle cantine, ma che non davano “fastidio” perché erano riservati: non parlano e non “legano” con nessuno. Ci ha detto che dopo tutto era straniera anche lei: benché abitasse da 50 anni a Milano, suo padre era friulano, sua madre calabrese e lei era nata in Argentina.
Le notizie veicolate dai mass-media negli ultimi anni hanno parlato di una popolazione insoddisfatta, sempre in tensione a causa delle frequenti risse e regolazioni di conti effettuate tra i membri della comunità cinese.
Le polemiche giornalistiche e politiche hanno probabilmente avuto un ruolo nell’andamento del mercato immobiliare dell’area di via Paolo Sarpi perchè alla presenza cinese si è legato un decremento del valore degli immobili, di cui molti vecchi e fatiscenti.
Negli ultimi anni l’intervento pubblico e privato sugli immobili della zona ha portato a un processo di risanamento degli edifici e di riqualificazione dell’area urbana. Interventi speculativi privati e dell’amministrazione pubblica (e qui si sottolinea il ruolo fondamentale delle politiche nella strutturazione dello spazio), attivano processi di ristrutturazione e di recupero delle aree interne, fatiscenti e degradate, spingendo all’esterno gli immigrati (colpevolizzati spesso nei mass-media e da una frangia del’opinione pubblica di essere l’unica causa del degrado del quartiere). Enfatizzando la localizzazione centrale dei nuovi e moderni appartamenti gli imprenditori attirano nuova popolazione a reddito medio-alto (segno di riurbanizzazione).
Il processo di gentrification in atto nelle maggiori città italiane, iniziato nel Nord ed evidenziatosi successivamente anche al Centro-Sud ma con anni di ritardo rispetto alle più grandi metropoli mondiali, rappresenta una nuova forma di mobilità per la cittadinanza: fasce marginali di popolazione (anziani ed immigrati) vengono sostituite da altra popolazione a reddito medio-alto, in genere individui ad alta qualificazione, che preferisce ritornare al centro della città e al centro della cultura che anima la città stessa. E ai poveri e agli immigrati, cosi come ad altre categorie sociali, non resta che spostarsi in altre zone della città (spesso nelle periferie), in un gioco senza fine, per il quale gli spazi vengono creati, bonificati, colonizzati, abitati, usati, vissuti, abbandonati, rivissuti. Un’agenzia immobiliare italiana propone appartamenti rifiniti all’interno di un insieme di edifici precedentemente ‘fatiscenti’ ed ora finemente ristrutturati mentre alcune agenzie immobiliari cinesi propongono appartamenti e negozi per cifre anche considerevoli in zona Sarpi.
Le rivolte dell’aprile 2007, durante le quali la comunità cinese è scesa in strada per reagire alle forme di controllo attuate dalla pubblica amministrazione (che sembravano essere chiaramente discriminatorie), hanno offerto anche in questo caso ai mass media materiale attraverso il quale alimentare la mappa della paura. Una concertazione tra la comunità cinese e l’amministrazione comunale ha delocalizzato parte delle attività all’ingrosso in altre zone ma l’immagine della Chinatown meneghina è rimasta la stessa. In realtà la comunità cinese, benchè sia particolarmente visibile nell’area per le insegne, per le frenetiche attività di carico-scarico merci, per i molti cinesi che s’incontrano per le strade del quartiere Canonica-Sarpi, e distribuita anche in altre aree del territorio milanese, perche degli oltre 14.000 cittadini cinesi iscritti all’anagrafe milanese al 31.12.2006, solo meno del 10% viveva nel quartiere.
Proprio in virtù dell’alta concentrazione residenziale in specifiche zone della città e soprattutto in base al tipo di economia che la comunità cinese ha organizzato nel territorio, la sua visibilità risulta notevolmente accentuata, anche rispetto ad altre collettività più numerose in valori assoluti, che tendono pero a mimetizzarsi più facilmente nello spazio pubblico, come la comunità filippina, occupata in prevalenza nel settore domestico.
Un altro momento piacevole della giornata è quando siamo andati a mangiare alla Trattoria cinese Long Chang, di via Paolo Sarpi 42, segnalato sulle guide turistiche come uno dei migliori ristoranti cinesi d’Italia. I prezzi erano buoni e abbiamo assaggiato alcuni piatti tipici, gelato fritto compreso. Ci siamo accorti tardi che ci avrebbero potuto servire anche particolari insetti fritti: Olmo li avrebbe voluti assaggiare!
Al di là dei pregiudizi o delle paure della gente abbiamo cercato in questo modo di riflettere concretamente su alcuni concetti della geografia urbana in riferimento alla trasformazione delle città in seguito alle ondate migratorie degli ultimi decenni e alla globalizzazione dei mercati e dell’economia. Del resto la comunità cinese di Milano è cresciuta intorno alla stazione Garibaldi, una zona centrale, e porta con sé le sue contraddizioni.