Così viene definito l’insieme degli abiti (le ‘vesti’ e non solo) che si usavano un tempo nel mondo contadino. E Giulia Caminada, grazie ai suoi studi al riguardo, ne ha scritto un libro. Ha cercato di ricostruire un quadro aderente alla realtà potenziale del passato, grazie alla memoria degli anziani e alle molte immagini. Il Vestiario è una guida che ci presenta abiti popolari di un tempo, ormai in disuso.
Domanda: E la prima domanda è piuttosto spontanea: erano solo abiti di uso quotidiano oppure ce n’erano anche per occasioni particolari?
Risposta. Erano abiti di uso quotidiano che doveva avere la caratteristica della comodità e dovevano durare il più possibile. Però, vi era anche l’abito “della festa”, della domenica. Dato che non si lavorava, se se ne aveva la possibilità, ci si vestiva in altro modo, mostrandosi diversamente da come si era nella quotidianità.
Domanda: C’era u’unica tipologia di abito sul Lario?
Risposta: Gli elementi che compongono l’abito contadino lariano sono sostanzialmente gli stessi: gonna, camicia, scialle, grembiule, zoccoli. Tuttavia ci sono alcune tipologie legate a qualche area geografica del territorio. Uno di questi è l’abito da moncecca (il nome deriva dall’area in cui abitavano le “moncecche”, in Alto Lago), considerato da “montanara” e descritto come “abito stranissimo, appartenente sia ai poveri che ai ricchi di alcuni paesi del lago”. Non vi sono molte testimonianze iconografiche antiche su questo abito ma, le poche, ci dimostrano che esso era usato tutti i giorni e che ha subìto delle modifiche negli anni, come per esempio l’abbellimento, e anche la sua sostituzione, nel corso del Novecento, con vestiti in cotone stampato. Invece, l’abito maschile nell’Ottocento era già dismesso e diventò abito da lavoro.
Domanda: Ma il Vestiario Popolare Lariano (o comunque il vestiario in generale) non è basato solo su vestiti. Altri elementi che caratterizzano l’epoca sono gli argenti da testa, per esempio la sperada o raggiera, resa nota dal Manzoni con “I promessi sposi”.
Risposta: La sperada era “il racconto della vita di una donna”. Essa era un oggetto con la funzione di ornare il capo delle donne ed aveva un peso di circa 600-700 grammi; era composto da vari spilloni che fissavano i capelli raccolti, disposti a cerchio dietro il capo, in modo da formare una mezza aureola. Questi spilloni erano di vario materiale: prevalente d’argento, ma anche d’altri metalli e ottone argentato e rame, mentre molto raro era l’oro. Si aggiungeva uno spillone ogni volta che alla portatrice capitava una cosa bella, quale la nascita di un figlio per esempio, e quindi più spilloni aveva una donna, più veniva sottolineata la sua ricchezza economica e sociale.
Domanda:Abbiamo parlato di revival fascista dell’abito poplare… in che cosa consiste?
Risposta: Durante il fascismo c’è stata una riscoperta degli abiti contadini, un modo per collegare una civiltà alla propria storia. Questo fenomeno, chiamato “revival”, è caratterizzato dall’uso dell’abito contadino nelle sfilate e nelle parate, anche se in realtà l’uso dell’abito stesso era decaduto già agli inizi del ‘900.
Domanda: La camicia era di uso frequente?
Risposta: Si, era un elemento costante sia maschile che femminile ; chi stava “bene” dal punto di vista economico possedeva un elevato numero di camicie. La seta non è di uso popolare; diciamo che era qualcosa che si produceva ma non poteva essere introdotta nell’abbigliamento contadino a causa del suo costo.
bloggiornalismo alla Presentazione del Vestiario Popolare Lariano
Debbi, hai fatto prprio una bella intervista!! Complimenti, davvero brava 😉
Grazie Ines! 🙂
grazie Debora! Hai fatto un bel lavoro. Diciamo che questa è la tua prima intervista ufficiale, fatta in proprio. Ormai sei sulla buona strada 🙂
Essì! Grazie mille 😉
Dove si trova in vendita il libro ?
Un grazie a chi mi aiuterà
Fernando