“Gridarono tutti insieme: Facciamo una città così bella che nessun’altra nel regno le si possa paragonare” scrive Buccio di Ranallo nelle Cronache della fondazione dell’Aquila. E di sicuro L’Aquila dev’essere stata una bella città, un piccolo salotto in mezzo alle aspre montagne d’Abruzzo. Lo si capisce dall’architettura urbana, dalla maestosità di alcuni suoi palazzi o del corso in centro città. Un’eleganza e una signorilità che traspaiono da sassi e impalcature che non servono a costruire ma a puntellare. Case, palazzi, finestre, balconi puntellati in ogni loro spazio. E se ci si avvicina ai vetri per guardare all’interno degli edifici non si vede altro che solette, pareti, finestre… puntellate in ogni loro spazio.
Una grande desolazione.
Una città piegata dagli eventi, svuotata di tutti i suoi abitanti. Una città abbandonata. Abbandonata al passaggio di qualche cane, di qualche turista, di qualche alpino ancora lasciato a presidiarla. Qualche piccolo bar riaperto.
Perché a L’Aquila non ho trovato altro. Situata sul declivio di un colle, alla sinistra del fiume Aterno in posizione predominante rispetto al massiccio del Gran Sasso, camminando per le sue vie si sente solo il peso delle ferite che porta alle sue pareti. E’ una città con il cuore spezzato. Andare a L’Aquila è come andare in muta e rassegnata preghiera a un sepolcro.
Non posso che augurarle il risveglio da un incantesimo, o una resurrezione. Non è morta, dorme.
Non ci posso credere 🙁 e pensare che in televisione i lavori procedevano così “bene”! Speriamo davvero che si risvegli, perchè una città che prima era così ricca di colori, di gente, di monumenti, ora non si merita di essere cos’ distrutta per un fenomeno naturale. Me lo auguro davvero, così come lo auguro ai pochi abitanti che ha..