Ci hanno tacciato di essere facinorosi. Pazzi. Gente che non ha nulla da perdere. Adesso che tutto e’ riuscito battono le mani e plaudono ai giovani eroi. In verità, abbiam vissuto fatti che sembrano usciti dalla fantasia di un romanziere. (Uno dei Mille)

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L’occasione politico-militare che in breve tempo condusse all’unificazione politica italiana venne con la campagna militare franco-piemontese dell’estate del 1859, combattuta vittoriosamente in Italia da Vittorio Emanuele II con Napoleone III (1818-1873) contro l’Impero austriaco. L’iniziale intesa tra gli alleati prevedeva la formazione di uno Stato unitario nell’area settentrionale e padana dell’Italia sotto la monarchia sabauda, uno Stato nell’Italia centrale senza la soppressione dello Stato Pontificio che, comunque avrebbe dovuto avere un ridimensionamento territoriale. Il Regno meridionale, sottratto ai Borboni, sarebbe dovuto essere assegnato alla discendenza di Murat.

Ma questa posizione venne presto travolta dal crollo, parallelo alla guerre, dell’organizzazione dell’antico regime nei Ducati di Parma e Piacenza, di Modena, della Toscana e in una parte dello Stato Pontificio sotto la pressione del popolo delle città che si ribellava al potere tradizionale. L’armistizio di Villafranca (11 luglio 1859) aprì una crisi politica internazionale all’interno della stessa alleanza franco-piemontese. Cavour diede le dimissioni perché non accettò l’interruzione da parte francese della guerra, con la sola acquisizione della Lombardia (senza le fortezze di Mantova e Peschiera), e Napoleone III, negli anni Trenta attivo cospiratore contro la Restaurazione e particolarmente legato all’Italia, di fronte al divampare  ovunque della tenace opposizione creata dalle rivoluzioni patriottiche aveva subito una grande e frenante pressione dell’opinione pubblica conservatrice francese. Ma ormai il ripristino  dell’antica divisione nell’Italia centrale era impossibile perché i governi provvisori di Toscana, Modena, Parma e Piacenza, Bologna e Legazioni pontificie avevano organizzato un loro coordinato potere di resistenza e anche un esercito comune comandato dal generale emiliano Manfredo Fanti (1806-1865) e da Giuseppe Garibaldi come suo vice.

Il ritorno al potere di Cavour nel gennaio 1860 consentì di risolvere questo intricato nodo con l’annessione al Piemonte, previ plebisciti, oltre che della Lombardia, anche della Toscana, dell’Emilia pontificia e dei Ducati padani e la cessione, sempre preceduta da plebiscito, alla Francia di Nizza e Savoia. E mentre Vittorio Emanuele II inaugurava il Parlamento dell’Italia settentrionale e centrale rendendo omaggio ai rappresentanti delle nuove terre unite al Piemonte, accadeva anche la lacerante rottura con Pio IX che, il 2 aprile 1860, aveva pronunciato contro gli invasori dei territori pontifici.

Cessato, tuttavia, questo complesso lavorio diplomatico e militare in una situazione che appariva in via di stabilizzazione, il fatto nuovo e imprevisto fu rappresentato dalla spedizione militare di Giuseppe Garibaldi nel sud: 1136 giovani, per gran parte dell’Italia settentrionale e con un gruppo di volontari ungheresi profughi dal loro paese, sbarcarono l’11 maggio 1860 nel porto di Marsala in Sicilia, provenienti da Genova e travolsero con impeto la resistenza dell’esercito borbonico. Ai garibaldini si unirono patrioti e insorti siciliani e meridionali mentre dal nord avanzò all’attacco del Regno di Napoli l’esercito piemontese guidato dallo stesso re costringendo nel febbraio 1861 il giovane sovrano di Napoli, Francesco II (1836-1894) all’esilio a Roma.

Ne emerge un nuovo assetto italiano, risultato di azione diplomatica condotta dal Piemonte. La guerra antiaustriaca aveva condotto al processo di unificazione dell’Italia in un solo Stato, con le eccezioni di Venezia e la sua regione, di Roma e del Lazio e delle province di confine di Trento e Trieste. Un fortunato biennio che condusse il 17 marzo 1861 alla proclamazione del Regno d’Italia, sotto la monarchia costituzionale dei Savoia, con un regime rappresentativo-liberale e con una forte connotazione laica, che più volte fu anche anticlericale. Iniziava così il tormentato processo di integrazione sociale, economica e culturale mai conclusasi, seppure con connotati diversi nel tempo.

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