Giancarlo Abba
Direttore scientifico Istituto dei Ciechi di Milano
Luce su Luce
Quando l’invisibile è sorgente di idee
Alla Mostra Dialogo nel Buio sono venuti dal 2006 ad oggi 200 mila ragazzi, dalle scuole elementari alle scuole superiori. Ritengo sia opportuna una riflessione a valenza educativa, ed è quello che cercherò di fare.
Cominciamo allora con una domanda.
Come mai questo interesse?
Cosa spinge insegnanti e ragazzi a venire all’Istituto dei Ciechi per vedere la “mostra che non mostra”? “Cosa avete visto a Milano?”, ipotizziamo, chiede la mamma al figlio protagonista della gita. “Niente! Era tutto buio”, potrebbe rispondere. In realtà, sappiamo che le sensazioni e le emozioni vissute sono molte, i pensieri che affollano la mente sono innumerevoli perché le cose “viste” con gli altri sensi non sono poche.
Si può affermare che l’attrazione, perché di questo si tratta all’inizio, e la curiosità per un percorso al buio, siano molto grandi.
Noi, che di fronte al buio, considerati i diversi significati attribuitigli dal nostro animo e dalla nostra cultura, siamo sempre un po’ sgomenti, abbiamo la possibilità, attraverso questa straordinaria esperienza, di ribaltare alcuni luoghi comuni. O perlomeno, di porci dei perché sui più comuni pregiudizi e cominciare ad essere problematici, cominciare ad essere dubbiosi su ciò che finora siamo stati portati a pensare.
Intanto, l’esperienza di Dialogo mette i visitatori veramente al buio, non il buio parziale o con qualche, seppur flebile, fonte di luce come avviene nelle nostre case. Questa dimensione, pensando ai ragazzi – in queste righe parliamo per loro – rappresenta un fatto diverso, un qualcosa mai vissuto prima.
Altro aspetto significativo è quello dell’ambiente umano, con cui i ragazzi vengono in contatto, le persone che fanno parte dell’Istituto dei Ciechi e di Dialogo: un luogo costituito da vedenti e non vedenti.
Un incontro che avviene al di fuori dei soliti immaginari costruiti o conosciuti intorno a chi non vede. A partire proprio dal buio e dai significati attribuiti alla cecità. Il buio accompagna la nostra vita, fin da bambini, soprattutto in maniera emozionale. Con il buio dobbiamo fare i conti. Qui ci accompagna un cieco.
La gente solitamente immagina il cieco chiuso in un mondo nero. Il mondo dei ciechi non è la notte che la gente crede.
Il nostro buio non è il buio dei ciechi.
Lo stesso Shakespeare cade nella “trappola” quando, in un sonetto dice “Looking on darkness, which the blind do see” (osservando l’oscurità, il buio che vedono i ciechi).
Riflettiamo un momento su alcuni significati che il buio detiene nella nostra cultura.
Il buio come punizione, il non vedere è associato alla privazione della vita, è considerato come castigo. Anche nei consueti e stereotipati modi di dire si rimanda al buio, alla cecità, come assenza della ragione: “violenza cieca” “bisogna essere ciechi e sordi per….”, “…la fortuna è cieca..”, leggiamo spesso sui giornali, nei titoli e negli articoli.
La stessa espressione “ho un’idea” se andiamo al significato etimologico, contiene la radice di “vedere” e ciò comporta un’identificazione fra il conoscere e il vedere, per cui al non vedere sarebbe preclusa la possibilità di conoscere. Quelli immanenti al linguaggio sono i pregiudizi più profondi, i nemici invisibili più difficili da sconfiggere.
(Commento di Massimo Cacciari di fronte all’esperienza del Buio).
Pure dalla classicità ci pervengono esempi che radicano (assimilano, associano) la cecità, il buio, al male, al peccato, alla morte. Basti pensare a Edipo che punisce la sua colpa con la cecità.
L’esperienza di Dialogo cosa vuole essere? Innanzitutto una sorpresa e una scoperta.
Qualcosa di “nuovo” che si presenta alla curiosità dei ragazzi in tutta la sua profonda portata.
Un “nuovo” che sollecita ciascuno a porsi domande, a vivere sensazioni personali, originali, non emulate. Un luogo dove ciò che si dice non è un “già sentito”. Un luogo che ha la pretesa di essere una provocazione educativa per i nostri giovani.
Ogni ragazzo, durante e dopo Dialogo, è portato a dare la sua interpretazione a seconda di quello che prova – senza il timore, nel confronto con gli altri – di dimostrare l’emozione, lo stupore, e perché no, lo sconcerto di fronte a una dimensione, quella del buio, fino a quel momento inesplorata.
Potremmo parlare di Dialogo come di “incanto dell’oscurità” ricordando la scrittrice argentina Olga Orozco in “L’oscurità è un altro sole”, un modo davvero affascinante di sollecitare la fantasia, al di là del contenuto del testo.
Certo, l’incontro con l’oscurità smuove sentimenti ed emozioni e suscita degli interrogativi, anche complessi.
Dall’incanto dell’oscurità a Dialogo nel Buio, dove la parola buio è affiancata alla parola dialogo. Fra loro non c’è ostilità. Dialogo fa abitare il buio tra le cose del mondo e….della mente: si dialoga, si può dialogare anche nel buio. Anche nel buio avviene l’incontro tra persone, un incontro di esistenze.
Un incanto? Forse.
I ragazzi hanno l’opportunità di conoscere uomini e donne che debbono accettare “il buio” come componente ineludibile della loro vita. Nel loro buio, o quello che noi vedenti erroneamente pensiamo sia “il loro buio”, i ciechi vivono tutte le situazioni, i sentimenti le emozioni che la vita mette in gioco.
Nel percorso di Dialogo, anche se per breve tempo si sospende l’uso della vista, non si diventa (come i) ciechi. (Vedi articolo “Luce su Luce” Nº4/2005). Ma questo tempo è sufficiente per cominciare, grazie alla guida non vedente, a prendere confidenza con il buio, a superare l’iniziale spaesamento, la paura.
La guida diventa guida sicura, fa scoprire che oltre alla vista abbiamo a disposizione gli altri sensi, abbiamo a disposizione il nostro corpo.
Chi non vede, vede, e chi vede, non vede, a Dialogo nel Buio!
Questo ribaltamento delle parti è una potente motivazione che suscita interrogativi e interesse. Si comincia ad avere altre impressioni, a sperimentare un altro modo di vedere. A capire che il buio non è di ostacolo al pensare.
I ragazzi sono portati ad entrare in quella dimensione in cui il nostro corpo è stimolato, in maniera naturale potremmo dire, a mettere in moto tutte le potenzialità percettive, ad attivare sfere cognitive e sensoriali solitamente poco sollecitate in un mondo che privilegia la sedentarietà o l’abuso del virtuale rispetto all’uso concreto, da vicino, delle cose. Si scopre l’importanza del tatto e come il toccare sia un veicolo di conoscenza e di riconoscimento della realtà.
Tutto assume un carattere diverso: si comprende, per esempio, che chi deve imparare non possedendo la vista ha bisogno di utilizzare mezzi e strumenti che glielo permettano. Mezzi e strumenti specifici.
Qual è il messaggio, questo sì di vera educazione civica, che vorremmo passasse ai nostri giovani attraverso Dialogo nel Buio?
Che la differenza degli strumenti, dei modi di operare o studiare non precludono il raggiungimento di mete e di mete comuni. Mete prive del colore, certo, per chi non vede, ma ricche comunque dei colori della vita, della conoscenza, dell’esperienza, del vissuto. Promuovere le differenze – Dialogo è anche questo – è uno dei modi migliori per intraprendere la strada dell’uguaglianza.
Nel buio una chiarezza: dobbiamo affidarci a chi ci guida e contare, nello stesso tempo, su noi stessi! Sono molti, pertanto, i temi di riflessione sui quali possono lavorare gli insegnanti. Il tema della fiducia, della lealtà, per fare solo qualche esempio, argomenti, questi, importanti tanto quanto le discipline del curricolo.
Possono essere messi in risalto temi che spesso e sempre più, con fatica, si introducono nella scuola. Se è vero come è vero che l’insegnante, oltre alle competenze disciplinari, è bene possieda (dopo adeguata formazione) anche una educazione emotiva, una cultura della relazione, della comunicazione e, in buona sostanza, una cultura della psicologia dell’età evolutiva, allora è anche vero che occorre essere consapevoli che in quell’età lo sviluppo della conoscenza passa prima (anche) per i canali emotivi che per quelli razionali, intellettivi.
Dialogo nel buio può contribuire ad aprire la porta della comunicazione su aspetti quali l’aiuto, il rispetto, l’ascolto e il riconoscimento dell’altro, può porre le basi per una positiva cultura dell’integrazione e della reciprocità.
La guida non vedente che accoglie il gruppo diventa “l’interprete” del buio e nel buio richiede fiducia, è lì per aiutare, per far capire, per svelare ciò che è (sembra) ignoto. Nel buio vale un assioma della linguistica: “non si può non comunicare”. La guida non vedente è l’eroe del buio, le sue gesta sono rimarchevoli.
Nel buio quindi, possiamo dire, nascono luci che illuminano chi, nella fase dell’adolescenza di solito carica di connotati incerti, confusi e contraddittori, ha bisogno di capire i significati della relazione, del rapporto con gli altri, del riconoscimento delle differenze, delle emozioni affettive.
Un’adolescenza che ha bisogno anche di poesia, che pensa qualche volta attraverso la poesia dove le parole si dicono e si ascoltano.
Come quella di Gianni D’Elia “Sì, la poesia potrebbe essere un incontro notturno […] il tentativo di decifrare i segni del nostro tempo, di ritrovare la coscienza attraversando il dominio del buio”.
http://www.dialogonelbuio.org/
Dialogando nel buio
Giancarlo Abba
Direttore scientifico Istituto dei Ciechi di Milano
Luce su Luce
Quando l’invisibile è sorgente di idee
Alla Mostra Dialogo nel Buio sono venuti dal 2006 ad oggi 200 mila ragazzi, dalle scuole elementari alle scuole superiori. Ritengo sia opportuna una riflessione a valenza educativa, ed è quello che cercherò di fare.
Cominciamo allora con una domanda.
Come mai questo interesse?
Cosa spinge insegnanti e ragazzi a venire all’Istituto dei Ciechi per vedere la “mostra che non mostra”? “Cosa avete visto a Milano?”, ipotizziamo, chiede la mamma al figlio protagonista della gita. “Niente! Era tutto buio”, potrebbe rispondere. In realtà, sappiamo che le sensazioni e le emozioni vissute sono molte, i pensieri che affollano la mente sono innumerevoli perché le cose “viste” con gli altri sensi non sono poche.
Si può affermare che l’attrazione, perché di questo si tratta all’inizio, e la curiosità per un percorso al buio, siano molto grandi.
Noi, che di fronte al buio, considerati i diversi significati attribuitigli dal nostro animo e dalla nostra cultura, siamo sempre un po’ sgomenti, abbiamo la possibilità, attraverso questa straordinaria esperienza, di ribaltare alcuni luoghi comuni. O perlomeno, di porci dei perché sui più comuni pregiudizi e cominciare ad essere problematici, cominciare ad essere dubbiosi su ciò che finora siamo stati portati a pensare.
Intanto, l’esperienza di Dialogo mette i visitatori veramente al buio, non il buio parziale o con qualche, seppur flebile, fonte di luce come avviene nelle nostre case. Questa dimensione, pensando ai ragazzi – in queste righe parliamo per loro – rappresenta un fatto diverso, un qualcosa mai vissuto prima.
Altro aspetto significativo è quello dell’ambiente umano, con cui i ragazzi vengono in contatto, le persone che fanno parte dell’Istituto dei Ciechi e di Dialogo: un luogo costituito da vedenti e non vedenti.
Un incontro che avviene al di fuori dei soliti immaginari costruiti o conosciuti intorno a chi non vede. A partire proprio dal buio e dai significati attribuiti alla cecità. Il buio accompagna la nostra vita, fin da bambini, soprattutto in maniera emozionale. Con il buio dobbiamo fare i conti. Qui ci accompagna un cieco.
La gente solitamente immagina il cieco chiuso in un mondo nero. Il mondo dei ciechi non è la notte che la gente crede.
Il nostro buio non è il buio dei ciechi.
Lo stesso Shakespeare cade nella “trappola” quando, in un sonetto dice “Looking on darkness, which the blind do see” (osservando l’oscurità, il buio che vedono i ciechi).
Riflettiamo un momento su alcuni significati che il buio detiene nella nostra cultura.
Il buio come punizione, il non vedere è associato alla privazione della vita, è considerato come castigo. Anche nei consueti e stereotipati modi di dire si rimanda al buio, alla cecità, come assenza della ragione: “violenza cieca” “bisogna essere ciechi e sordi per….”, “…la fortuna è cieca..”, leggiamo spesso sui giornali, nei titoli e negli articoli.
La stessa espressione “ho un’idea” se andiamo al significato etimologico, contiene la radice di “vedere” e ciò comporta un’identificazione fra il conoscere e il vedere, per cui al non vedere sarebbe preclusa la possibilità di conoscere. Quelli immanenti al linguaggio sono i pregiudizi più profondi, i nemici invisibili più difficili da sconfiggere.
(Commento di Massimo Cacciari di fronte all’esperienza del Buio).
Pure dalla classicità ci pervengono esempi che radicano (assimilano, associano) la cecità, il buio, al male, al peccato, alla morte. Basti pensare a Edipo che punisce la sua colpa con la cecità.
L’esperienza di Dialogo cosa vuole essere? Innanzitutto una sorpresa e una scoperta.
Qualcosa di “nuovo” che si presenta alla curiosità dei ragazzi in tutta la sua profonda portata.
Un “nuovo” che sollecita ciascuno a porsi domande, a vivere sensazioni personali, originali, non emulate. Un luogo dove ciò che si dice non è un “già sentito”. Un luogo che ha la pretesa di essere una provocazione educativa per i nostri giovani.
Ogni ragazzo, durante e dopo Dialogo, è portato a dare la sua interpretazione a seconda di quello che prova – senza il timore, nel confronto con gli altri – di dimostrare l’emozione, lo stupore, e perché no, lo sconcerto di fronte a una dimensione, quella del buio, fino a quel momento inesplorata.
Potremmo parlare di Dialogo come di “incanto dell’oscurità” ricordando la scrittrice argentina Olga Orozco in “L’oscurità è un altro sole”, un modo davvero affascinante di sollecitare la fantasia, al di là del contenuto del testo.
Certo, l’incontro con l’oscurità smuove sentimenti ed emozioni e suscita degli interrogativi, anche complessi.
Dall’incanto dell’oscurità a Dialogo nel Buio, dove la parola buio è affiancata alla parola dialogo. Fra loro non c’è ostilità. Dialogo fa abitare il buio tra le cose del mondo e….della mente: si dialoga, si può dialogare anche nel buio. Anche nel buio avviene l’incontro tra persone, un incontro di esistenze.
Un incanto? Forse.
I ragazzi hanno l’opportunità di conoscere uomini e donne che debbono accettare “il buio” come componente ineludibile della loro vita. Nel loro buio, o quello che noi vedenti erroneamente pensiamo sia “il loro buio”, i ciechi vivono tutte le situazioni, i sentimenti le emozioni che la vita mette in gioco.
Nel percorso di Dialogo, anche se per breve tempo si sospende l’uso della vista, non si diventa (come i) ciechi. (Vedi articolo “Luce su Luce” Nº4/2005). Ma questo tempo è sufficiente per cominciare, grazie alla guida non vedente, a prendere confidenza con il buio, a superare l’iniziale spaesamento, la paura.
La guida diventa guida sicura, fa scoprire che oltre alla vista abbiamo a disposizione gli altri sensi, abbiamo a disposizione il nostro corpo.
Chi non vede, vede, e chi vede, non vede, a Dialogo nel Buio!
Questo ribaltamento delle parti è una potente motivazione che suscita interrogativi e interesse. Si comincia ad avere altre impressioni, a sperimentare un altro modo di vedere. A capire che il buio non è di ostacolo al pensare.
I ragazzi sono portati ad entrare in quella dimensione in cui il nostro corpo è stimolato, in maniera naturale potremmo dire, a mettere in moto tutte le potenzialità percettive, ad attivare sfere cognitive e sensoriali solitamente poco sollecitate in un mondo che privilegia la sedentarietà o l’abuso del virtuale rispetto all’uso concreto, da vicino, delle cose. Si scopre l’importanza del tatto e come il toccare sia un veicolo di conoscenza e di riconoscimento della realtà.
Tutto assume un carattere diverso: si comprende, per esempio, che chi deve imparare non possedendo la vista ha bisogno di utilizzare mezzi e strumenti che glielo permettano. Mezzi e strumenti specifici.
Qual è il messaggio, questo sì di vera educazione civica, che vorremmo passasse ai nostri giovani attraverso Dialogo nel Buio?
Che la differenza degli strumenti, dei modi di operare o studiare non precludono il raggiungimento di mete e di mete comuni. Mete prive del colore, certo, per chi non vede, ma ricche comunque dei colori della vita, della conoscenza, dell’esperienza, del vissuto. Promuovere le differenze – Dialogo è anche questo – è uno dei modi migliori per intraprendere la strada dell’uguaglianza.
Nel buio una chiarezza: dobbiamo affidarci a chi ci guida e contare, nello stesso tempo, su noi stessi! Sono molti, pertanto, i temi di riflessione sui quali possono lavorare gli insegnanti. Il tema della fiducia, della lealtà, per fare solo qualche esempio, argomenti, questi, importanti tanto quanto le discipline del curricolo.
Possono essere messi in risalto temi che spesso e sempre più, con fatica, si introducono nella scuola. Se è vero come è vero che l’insegnante, oltre alle competenze disciplinari, è bene possieda (dopo adeguata formazione) anche una educazione emotiva, una cultura della relazione, della comunicazione e, in buona sostanza, una cultura della psicologia dell’età evolutiva, allora è anche vero che occorre essere consapevoli che in quell’età lo sviluppo della conoscenza passa prima (anche) per i canali emotivi che per quelli razionali, intellettivi.
Dialogo nel buio può contribuire ad aprire la porta della comunicazione su aspetti quali l’aiuto, il rispetto, l’ascolto e il riconoscimento dell’altro, può porre le basi per una positiva cultura dell’integrazione e della reciprocità.
La guida non vedente che accoglie il gruppo diventa “l’interprete” del buio e nel buio richiede fiducia, è lì per aiutare, per far capire, per svelare ciò che è (sembra) ignoto. Nel buio vale un assioma della linguistica: “non si può non comunicare”. La guida non vedente è l’eroe del buio, le sue gesta sono rimarchevoli.
Nel buio quindi, possiamo dire, nascono luci che illuminano chi, nella fase dell’adolescenza di solito carica di connotati incerti, confusi e contraddittori, ha bisogno di capire i significati della relazione, del rapporto con gli altri, del riconoscimento delle differenze, delle emozioni affettive.
Un’adolescenza che ha bisogno anche di poesia, che pensa qualche volta attraverso la poesia dove le parole si dicono e si ascoltano.
Come quella di Gianni D’Elia “Sì, la poesia potrebbe essere un incontro notturno […] il tentativo di decifrare i segni del nostro tempo, di ritrovare la coscienza attraversando il dominio del buio”.