Il Vittoriale degli Italiani è la cittadella monumentale costruita a Gardone Riviera (BS) sulle rive del lago di Garda dal poeta Gabriele D’Annunzio assieme all’architetto Giancarlo Maroni dal 1921 al 1938.
Il Vittoriale è, dunque, un complesso di edifici, vie, piazze, teatri, giardini, e corsi d’acqua eretto a memoria della propria vita d’eccezione e delle imprese eroiche degli italiani durante la Grande Guerra. Fra i mediterranei alberi d’olivo e gli svelti cipressi sono collocati i cimeli delle imprese più audaci: il MAS della Beffa di Buccari, l’aereo Ansaldo S.V.A. del volo su Vienna, fino alla prua dell’incrociatore Puglia rimontata su uno sperone roccioso al centro del parco.
Nel punto più alto e panoramico del Vittoriale si staglia il profilo del mausoleo, monumento ai caduti di guerra, dove sono sepolti il Comandante Gabriele d’Annunzio ed alcuni fra i legionari che parteciparono all’impresa di Fiume.
Nei giardini, confusi fra i tronchi di un boschetto di magnolie si celano i fusti delle colonne e i sedili dell’Arengo; scendendo le terrazze si incontrano la vecchia limonaia e il frutteto.
Il teatro all’aperto si profila con lo stupendo fondo dell’azzurro lago; ispirato ai modelli dell’antichità, può contenere fino a 1.500 persone e ancora oggi ospita, nel periodo estivo, eventi teatrali e musicali.
La Fondazione del Vittoriale degli Italiani è aperta al pubblico tutto l’anno ed è visitata da circa 180.000 persone l’anno.
I giardini
I giardini del Vittoriale sono molto estesi, coprono il 50% circa del Vittoriale. Nella parte inferiore della villa, verso il lago, si trova il cd. “giardino segreto”, ossia una serie di terrazze degradanti, vecchie limonaie, dove D’Annunzio ha creato suggestivi spazi di meditazione sui prediletti temi eroici, con esplicita rievocazione delle principali battaglie combattute, come il “giardino delle reliquie”. Addentrandosi nella parte più intima e personale del giardino ci sono le tombe di Maria d’Annunzio e dei suoi cani preferiti. Sul versante opposto, parte invece una scalinata che porta alla “Fontana del delfino” e poi di nuovo verso il lago, dove è stata montata su un pendio la parte anteriore della nave militare Puglia. La nave è abbellita sulla prua da una statua in bronzo della Vittoria ed al suo interno ospita un piccolo museo con modellini di navi e bandiere. Salendo il colle troviamo il “mausoleo degli eroi”, dove sono custoditi i caduti a Fiume nel natale di sangue. Il mausoleo, che si ispira al Castel S. Angelo e alle tombe etrusche, è circondato da tre cinta di mura degradanti e custodisce sulla sommità la salma di D’Annunzio, circondata dalle arche di pietra dei suoi commilitoni.
La villa
Chiamata Prioria, la villa di D’Annunzio è costituita da una ventina di ambienti e contiene al proprio interno una ricca biblioteca di 33.000 volumi di letteratura italiana e francese, di storia, libri d’arte e rare edizioni antiche fra cui anche cinquecentine e incunaboli. Tutte le stanze sono caratterizzate dalla penombra, poiché la luce diretta dava fastidio al poeta che soffriva di fotofobia.
Fra le stanze, arredate dal poeta abruzzese secondo il suo personalissimo gusto, va sicuramente ricordata l’assai suggestiva stanza della musica, inizialmente intitolata a Gasparo da Salò inventore del moderno violino. Per favorire l’acustica e il raccoglimento, ha le pareti rivestite di damaschi neri ed oro della ditta Ferrari di Milano. L’illuminazione particolare proviene da finestre alabastrine e da grandi zucche colorate e cesti di frutta in vetro di Murano. In questa sala si tenevano i concerti del “Quartetto” del Vittoriale.
La Zambracca, stanza guardaroba, il cui nome deriva da un antico vocabolo provenzale che significa donna da camera. In questo ambiente egli trascorreva, negli ultimi anni, la maggior parte del tempo; è qui che d’Annunzio morì la sera del 1º marzo 1938. Sulla scrivania fra gli altri oggetti ci sono un prezioso calamaio di Mario Buccellati, la testa d’aquila in argento di Renato Brozzi ed un gesso che riproduce l’Aurora di Michelangelo. All’interno di un armadio collocato in posizione angolare, ancora oggi si possono notare le numerosissime medicine di cui l’ipocondriaco d’Annunzio faceva abitualmente uso.
La stanza della Leda è la camera da letto del poeta. Prende il nome da un gesso raffigurante il mito di Leda amata da Zeus trasformatosi in cigno. Sul soffitto, decorato da Guido Marussig, sono riportati alcuni versi danteschi. Accanto al letto i volumi degli autori preferiti da d’Annunzio: Shakespeare, Dante, Verlaine, Stendhal.
Il bagno blu, suddiviso in ritirata e sala da bagno, assume il duplice ruolo di purificazione e ricerca esasperata del sovrabbondante. In questa stanza circa ottocentocinquanta oggetti alimentano quel senso di horror vacui qui divenuto simbolo di superfluo e accessorio.
Forse l’ambiente più suggestivo e carico di significati simbolici della casa è la Stanza del Lebbroso pensata sin dall’inizio come camera ardente e dove il poeta si ritirava a meditare sulla morte. Qui, infatti, il corpo del poeta venne composto per la veglia privata: il letto, posto in posizione dominante, è chiamato letto delle due età, perché nelle sue forme ricorda al contempo una culla e una bara: simboleggia la morte come fine e come inizio di una nuova vita.
Al piano superiore, lo scrittoio del Monco è uno studiolo che prende il nome dalla scultura collocata sulla porta con la scritta: Recisa quiescit; era la saletta nella quale D’Annunzio sbrigava la corrispondenza: non potendo o non volendo rispondere a tutti, ironicamente si fingeva monco e quindi impossibilitato a scrivere.
L’Officina è lo studio di d’Annunzio, la stanza dedicata all’arte. L’ingresso alla stanza è basso e “scomodo” e obbliga chi entra ad un inchino all’arte. Hoc opus Hic labor est: (dov’è l’opera lì è il lavoro) è il motto scritto sulla trave d’ingresso. Colpisce la luminosità della stanza rispetto al resto della casa e la semplicità dei mobili di rovere chiaro. Qui D’Annunzio, operaio della parola, passava gran parte della giornata e della notte a leggere e a creare: era dunque necessario un ambiente luminoso.
La stanza della Cheli è la sala da pranzo; è così chiamata da d’Annunzio per la presenza di una tartaruga a capotavola. Il carapace è quello originale della tartaruga regalata a d’Annunzio dalla marchesa Luisa Casati Stampa. La tartaruga, morta nei giardini del Vittoriale per indigestione di tuberose, diventa allora simbolo di morigeratezza: la sua presenza a tavola doveva essere monito all’ingordigia dei convitati. Pur essendo la sala da pranzo, difficilmente D’Annunzio sedeva a tavola con gli ospiti preferendo cenare da solo nella Zambracca; gli onori di casa spettavano dunque alla compagna del poeta, la pianista veneziana Luisa Baccara.
Museo della Guerra
D’Annunzio – dopo aver dato forma alla Prioria, la casa-museo che lo ospitò tra il 1921 e il 1938 – ebbe in progetto la realizzazione di un museo che stesse a celebrare le imprese sue e di tutta una nazione. Inizialmente pensò di adibire a museo il vasto auditorium che oggi custodisce, appeso al soffitto, l’aereo biposto SVA del volo su Vienna; ebbe quindi un ripensamento, ritenendo inadatto il freddo marmo a ospitare cimeli ed eroiche reliquie. Dal 2000 il Museo della Guerra è allestito all’interno del palazzo di Schifamondo, nome preso a prestito da d’Annunzio da palazzo Schifanoia, celebre residenza estiva degli estensi di Ferrara.
Lo Schifamondo – che sarebbe dovuto diventare la nuova residenza del poeta ma che non venne mai abitata in quanto non ancora ultimata al momento della sua morte (1º marzo 1938) – venne concepito dalla mente delll’architetto Giancarlo Maroni come un transatlantico: finestre come oblò, vetrate alabastrine, ambienti rivestiti in legno, corridoi alti e stretti e uno studio del tutto simile al ponte di comando di una nave: tutto questo in una raffinata atmosfera déco.
Nelle sue sale, aperte al pubblico, ancora oggi è possibile vedere perfettamente conservati pastrano nero in cuoio, i guantoni, la giberna, il cappuccio, che D’Annunzio utilizzò durante la beffa di Buccari, gli occhiali e la cuffia del volo su Vienna, le armi bianche e da fuoco risalenti al periodo della Grande Guerra, il medagliere e le divise militari, e infine i gagliardetti, i labari e le grandi bandiere: quella italiana dove venne avvolto il corpo morente di Giovanni Randaccio, quella gialla rosso e blu della città di Fiume, il gonfalone della Reggenza del Carnaro simbolo dell’ultima grandiosa impresa del poeta-soldato.
Mikelotta